Io sono Francesco Totti di Alex Infascelli è il Nastro d’Argento 2021 per il Cinema del reale, The Rossellinis di Alessandro Rossellini, ritratto di una famiglia allargata decisamente speciale, il miglior documentario sul cinema, mentre Il caso Braibanti di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese è la miglior docufiction dell’anno.
Questo l’annuncio odierno dei Giornalisti Cinematografici d’Italia, che avevano già rivelato i Premi speciali dei Nastri 75 per il Documentario a Notturno di Gianfranco Rosi e Salvatore – Shoemaker of Dreams di Luca Guadagnino. Significativi i premi con i quali il Direttivo Nazionale del Sngci, che assegna i Nastri, ha deciso di sottolineare l’importanza del ‘cinema del reale’ in un’edizione dedicata quest’anno alla memoria di Cecilia Mangini.
Il caso Braibanti, che i Nastri premiano per la docufiction, è stato definito “un film importante e necessario perché attraverso il lavoro di ricostruzione tra molte testimonianze – da Piergiorgio Bellocchio a Dacia Maraini, da Lou Castel a Maria Monti nonché quella del nipote di Braibanti – offre l’occasione di ripercorrere una vicenda processuale che, per un reato codificato dal Codice Rocco dell’era fascista (poi cancellato dalla Corte Costituzionale nel 1981) fu di fatto un processo all’omosessualità“.
Il documentario diretto da Carmen Giardina e Massimiliano Palmese raccoglie il testimone e approfondisce, usando come canovaccio le riprese dell’omonimo spettacolo teatrale del 2018, non solo il personaggio ma anche l’epoca del processo e la storia italiana del Novecento. Al centro della trama il processo avvenuto cinquanta anni prima ai danni del partigiano, poeta, artista, filosofo e naturalista Aldo Braibanti, un intellettuale schivo, libero, e omosessuale. Deceduto nel 2014 all’età di 91 anni, Braibanti venne accusato di plagio negli anni ’60 dal padre di Giovanni Sanfratello, 23enne piacentino con cui aveva avuto una relazione, quando questi si trasferì a Roma, prima del 1968. Secondo Sanfratello, Braibanti, omosessuale dichiarato, aveva “sottomesso” alla sua volontà il giovane figlio, plagiandolo e imponendogli il suo stile di vita. Braibanti fu condannato per plagio, reato previsto dal codice penale fascista, allora ancora in vigore. “Il giovane Sanfratello – dichiarò il pubblico ministero durante il processo – era un malato, e la sua malattia aveva un nome: Aldo Braibanti, signori della Corte! Quando appare lui tutto è buio”. Braibanti fu il primo e unico ad essere condannato per plagio, reato introdotto dal fascismo col Codice Rocco e cancellato nel 1981 dalla Corte Costituzionale. La condanna suscitò ampia eco, a favore di Braibanti si mobilitarono Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Adolfo Gatti, Giuseppe Chiarie e numerosi altri intellettuali e uomini di cultura. Venne condannato a nove anni, poi ridotti a sei, ma ne scontò due in quanto partigiano antifascista.
Tra le docufiction, Il caso Braibanti ha battuto La Legge del Terremoto di Alessandro Preziosi, La storia Vergognosa di Nella Condorelli, Nilde Iotti, il Tempo delle Donne di Peter Marcias e La verità su La dolce vita di Giuseppe Pedersoli, a cui è andata una menzione speciale.
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