Nella sua Argentina natale, Nico (Guillermo Pfening) ha una certa celebrità grazie a una popolare serie tv ma dopo varie incomprensioni col suo produttore/amante bisex Martin (Rafael Ferro) lascia tutto e tenta fortuna nella Grande Mela.
Il suo personaggio viene ‘congelato’ nella classica situazione dell’uomo in coma ma Nico non sembra intenzionato a ritornare a casa. A New York divide l’appartamento con l’amica lesbica Claire (Kerry Sohn), tenta audizioni di poco successo e scopre il piacere del babysitting grazie al pargolo di un’altra amica insegnante di yoga. Eppure Nico è a disagio, non riesce a mettere radici, sembra smarrire sé stesso, come racconta alla madre amorevole via Skype: la situazione esplosiva è rappresentata dal collega-amico di successo che piomba in città e s’installa all’improvviso a casa sua.
Il vero motivo d’interesse del film è il bravo protagonista, dotato di un certo understatement, tale Guillermo Pfening, premiato come miglior attore al festival di Tribeca “per una performance di straordinaria vulnerabilità e dedizione che dà stabilità al film”. In effetti Pfening è credibile nel tratteggiare i tormenti interiori di un uomo che non riesce a trovare un equilibrio esistenziale, a soppesare i proprio fallimenti professionali e, soprattutto, a proiettarsi nella giusta direzione per l’immediato futuro. Anche sentimentalmente, Nico è da un lato ossessionato dai fantasmi del passato ma non vuole in realtà chiudere definitivamente con chi rappresenta, nonostante tutto, gli anni più felici della sua esistenza. E così si accontenta di sesso spiccio senza un dopo con ragazzi conosciuti in bar e sex club.
Peccato che dal punto di vista narrativo il film della Solomonoff abbia un’evoluzione troppo rallentata, e lo spettatore faccia fatica a ‘entrare’ nell’universo mentale del protagonista. Gli unici momenti di autentica partecipazione sembrano quelli spartiti con le giovani madri o nanny dove Nico sembra davvero trovare una gratificazione come baby sitter (il cosiddetto ‘manny’).
Anche perché come attore Nico subisce la discriminazione riservata ai latini – “hai un accento troppo forte” – e persino il colore biondo dei capelli viene malvisto da un’amica produttrice che gli consiglia di farsi subito una tinta per sperare di avere successo a un’audizione. Ma la parte più interessante rimane proprio l’attaccamento al bambino dell’amica anche perché raramente nel cinema contemporaneo si affronta la questione della possibile paternità gay con schiettezza e onestà.
Il titolo curioso si riferisce sia alla mancanza di un pubblico per un attore sia al fatto che Nico compie periodicamente piccoli taccheggi in un supermarket certo di non ‘essere visto’ dalle videocamere di sicurezza (ma la frase ‘Nobody’s watching’ è pronunciata anche da Martin quando tenta di baciare Nico sul prato).
Ideale per una circuitazione televisiva da domenica pomeriggio, Nobody’s Watching non ha ancora una distribuzione italiana.
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