Non è ancora chiusa l’inchiesta sull’omicidio di Armando Iodice, nonostante l’assassino sia stato identificato in Aarab Samir, il ventinovenne marocchino che ha confessato il delitto. Ieri, il pm Chiara Riva ha impresso una nuova accelerazione alle indagini, ascoltando almeno quattro persone informate sui fatti che sono rimaste in Questura fino a metà pomeriggio.
Gli interrogati sono tutti amici della vittima, del "professore", come si faceva chiamare Armando Iodice. Tutte persone che frequentavano abitualmente il restauratore e la sua residenza di Sezze e che si sono ritrovati in via del Melogrosso tra il momento dell’omicidio e il giorno del ritrovamento del cadavere senza rendersi conto che il soggiorno al pian terreno era stato il teatro del delitto.
E’ possibile che gli interrogatori abbiano lo scopo di approfondire la possibilità dell’esistenza di un collegamento tra l’assassinio del "professore" e quello del "monsignore", il gay romano trovato ucciso nell’agosto dello scorso anno. Gli inquirenti lo smentiscono anche perché quel delitto non è di competenza della Procura di Latina. Di certo hanno chiesto a tutti come sia stato possibile non accorgersi delle evidenti tracce di sangue, sul muro, sul divano e sul pavimento, lasciate da Samir Aarab prima di fuggire.
Gli inquirenti stanno cercando conferme alle dichiarazioni rilasciate dal marocchino che ha ucciso Iodice a colpi di accetta e ieri a sorpresa hanno voluto ascoltare contemporaneamente tutti gli amici dell’uomo ucciso. Poi le dichiarazioni raccolte nelle varie stanze della Procura sono state rapidissimamente confrontate e sono servite per porre nuove domande in una seconda tornata di interrogatori. Un lavoro lungo durato diverse ore. I risultati sono top secret. Tra l’altro a tutti gli amici del professore sono stati mostrati dei quadri e altri oggetti, ma non è chiaro se siano stati trovati nella villetta di via del Melogrosso o sequestrati altrove.
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