Non è certo una novità che adolescenti e giovani transgender riportino spesso casi di ansia e depressione, dovuti principalmente alle discriminazioni nella società o al rischio di traumi e abusi. Diversi studi sono stati fatti negli Stati Uniti proprio su questo argomento ma, con la pandemia, i numeri sono decisamente peggiorati. I ricercatori al National Institute of Health Cameron K Ormiston e Faustine Williams hanno rilasciato sulla rivista di ricerca medica The Lancet uno studio proprio sugli effetti mentali che il lockdown ha avuto sui giovani della comunità LGBTQ+.
È già difficile combattere pregiudizi e discriminazioni, se poi nel mentre si viene rinchiusi in casa – tra smart working e didattica a distanza – rimanere per troppo tempo soli con le proprie menti può causare più danni che altro. Non a caso, durante il primo lockdown è stato registrato un aumento dei casi di depressione del 50%: i due studiosi sottolineano come i giovani LGBTQ sono stati «colpiti in modo sproporzionato dalla pandemia». È un tema che in generale ha dato da parlare anche a casa nostra, e che comprende anche le vittime di abusi in relazioni tossiche, costrette a rimanere chiusə in casa con i loro aguzzini.
Cameron K Ormiston e Faustine Williams hanno realizzato anche un’analisi dei fattori che possono portare alla depressione e, in alcuni casi, anche a tentativi di suicidio. E soprattutto cosa può e dovrebbe fare la società per evitarli:
«Affrontare le barriere strutturali, comprese le istituzioni e le politiche pregiudizievoli e discriminatorie, è essenziale»
Barriere che poi si estendono al di fuori, ma che spesso iniziano proprio in casa. Sono moltissimi, infatti, i giovani queer rifiutati e non accettati dai propri genitori e la mancanza di un supporto famigliare è il primo passo nel buio. La pandemia non ha fatto altro che accentuarne ed esasperarne gli effetti. «I fattori che possono essere implicati sono l’isolamento dai sistemi di supporto, l’assenza di supporto familiare e le interruzioni dei servizi sanitari», spiega la ricerca. Cosa si può fare, allora? Intanto, un ruolo fondamentale viene giocato dalle scuole, che sono spesso la prima arena in cui gli adolescenti alle prese con la propria identità si scontrano con una società non sempre disposta ad accettarli: «I dirigenti scolastici devono fornire e promuovere spazi sicuri e inclusivi per i giovani LGBTQ+ al loro ritorno a scuola, fornendo loro ambienti sicuri che possono rafforzare la resilienza».
📢OUR NEW ISSUE is now online, featuring #mentalhealth , #COVID19 , #diabetes, #childhealth , #oncology and more, all available for you #openaccess
Read more here 👉 https://t.co/PGaU2YQEGJ pic.twitter.com/UXfpz4w8qi
— EClinicalMedicine – Published by The Lancet (@EClinicalMed) December 22, 2021
Un ruolo non indifferente lo giocano anche la politica, le istituzioni e il sistema sanitario, troppo spesso ciechi di fronte ai reali bisogni delle persone queer, soprattutto dei più giovani. Ormiston e Williams sostengono che «dobbiamo creare spazi che favoriscano l’autonomia dei giovani LGBTQ+ anche nelle nostre comunità e istituzioni. Dobbiamo impegnarci con loro per progettare soluzioni efficaci e partecipative che li proteggano dagli esiti negativi della salute mentale legati al Covid e costruiscano un futuro migliore e più sano per tutti». È qualcosa che si chiede e per cui si lotta da tempo – senza risultati troppo entusiasmanti – ma la pandemia ha reso questa necessità più urgente. Ed è tempo che qualcuno finalmente ascolti.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.