A Natale con “queer” vuoi, per Pasqua ci aggiorniamo: consigli per le feste

Come fare per sopravvivere e arrivare indenni all’Epifania?

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A Natale con “queer” vuoi, per Pasqua ci aggiorniamo: consigli per le feste - cover - Gay.it
Viggo Johansen, “Silent Night”, 1891
6 min. di lettura

Da bambini, il Natale è una fiaba: i camini fumano, le case sono calde e accoglienti, fuori nevica e, nella notte fra il 24 e il 25 dicembre, dalla canna fumaria si cala un generoso nonno canuto che, senza conoscerci, sa ogni nostro desiderio a menadito e ci porta gli esatti regali che bramavamo da un sacco di tempo. È bastata una letterina scarabocchiata – e un pizzico di speranza – per convincerlo a passare. Da piccoli, questa festività, incarnata dalla figura di Babbo Natale, rappresenta un miracolo di presenza e chiaroveggenza che esaudisce ogni nostra volontà.

Quando poi l’amichetto smaliziato e precoce ci svela dall’oggi al domani che questo signore dalla barba bianca non esiste, perché l’altra sera ha origliato i discorsi dei grandi a tavola, il pensiero magico si spezza e perdiamo l’innocenza. L’arrivo della pubertà non è segnato dal sopraggiungere dell’acne. La pubertà arriva quando scopriamo che Babbo Natale e tutta la manfrina annessa erano una menzogna grossa come una casa, architettata dal capitalismo per vendere a prezzi esorbitanti doni e giocattoli prodotti da un nonno volenteroso che, nonostante l’età avanzata, lavora ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette, senza minimamente sognarsi la pensione.

Agli albori, il Natale era innanzitutto una festa annuale del mondo cristiano, istituita per celebrare la nascita del figlio di Dio, fattosi uomo perché l’uomo diventasse Dio. Ma parliamoci chiaro: il 25, chi è che festeggia ancora il bambin Gesù? Il Papa, forse? I parroci di paese, che inveiscono contro i fedeli perché scialacquano troppi soldi anziché rendere grazia, monetaria soprattutto, al Nostro Signore? O le famiglie ultracattoliche, che lo fanno più per presa di posizione che per reale sentimento di natività? Di queste origini cristiane ne resta traccia forse nei presepi, ultime reliquie di una storia religiosa che non ci interessa più e che sfruttiamo solamente perché “fa atmosfera”.

A Natale con “queer” vuoi, per Pasqua ci aggiorniamo: consigli per le feste - SFONDO NATALIZIO 1 - Gay.it
Tipico paesaggio natalizio innevato

Il Natale, oggigiorno, non è soltanto laico, ma è del tutto devoto al capitalismo. Rappresenta uno spartiacque, cioè la fine effettiva dell’anno contabile. In questo periodo, che ormai parte mezzo secondo dopo Halloween con l’allestimento delle prime vetrine natalizie nei negozi in centro, le aziende incassano a più non posso per catapultarsi con maggiori entrate e profitti nell’anno contabile successivo – che, mi raccomando, riparte il 7 gennaio, in mezzo c’è solo un vasto buco nero in cui il tempo si fa denso e sospeso, gli uffici sono deserti e le risposte automatiche alle e-mail infinite.

Questo Natale qui, quello figlio non più di Dio, ma del consumismo, blocca il mondo per farci spendere (imponendoci fra l’altro di regalare qualcosa anche al cugino di ottavo grado perché “se no pare brutto”) e si porta dietro una sacra iconografia di marketing: paesaggi innevati, luminarie sgargianti, slitte volanti trainate da renne, focolari accesi e famigliole allegre e spensierate in calze di lana e maglioni fatti a maglia, sedute a tavola con pasti luculliani sotto al naso. L’atmosfera è gioviale a ogni costo, la chiacchiera e il parlar cortese sembrano un imperativo e, se tutto ciò non avviene, la tua vita familiare o personale sembra quasi fare schifo.

Dagli undici anni in avanti, per me, morto Babbo Natale e con lui l’ultimo sogno dell’infanzia, il Natale ha perso ogni attrattiva. Il solo pensiero, anche mesi prima, rievoca in me ricordi di stanze anguste e affollate, dove l’aria è viziata, la condensa cola giù dai vetri e regna una baraonda generale che impedisce la comunicazione. A Natale, infatti, nessuno parla con nessuno. Ci si deve per forza ritrovare a tavola insieme, costi quel che costi, perché è tradizione e si è sempre fatto così, ma non importa un bel niente a nessuno di quel che abbiamo da dirci. È tutta una questione di cerimoniali linguistici, che seguono ritmi e cadenze ben precise (e guai a chi sgarra!). A un “E allora come va?” si risponde solo con un “Tutto bene, e tu?”. Severamente vietato aggiungerci un “Tutto bene, dai, e tu?” perché devono esserci soltanto certezze granitiche che confermano quanto recitato il Natale precedente: stai alla grande, la tua vita va a gonfie vele, fai il lavoro che ami e per cui hai studiato (laureandoti un po’ in ritardo, ma te lo perdoniamo); se sei uomo, hai una donna avvenente e che ami al tuo fianco e, se sei donna, hai l’uomo che ti protegge e ti dà sicurezza, che pensa economicamente anche per te e che di certo ti darà figli sani e robusti (“Ma quand’è che fate un bambino?”). Se invece sei LGBTQIA+ e per tua sventura quei parenti che vedi una volta all’anno sono venuti a saperlo, le reazioni sono due: o ne parlano facendo battute e commenti inopportuni, che attivano pericolosamente il tuo imbarazzo empatico o la tua ira funesta, oppure la vivono nella più totale omertà, glissando a piè pari sull’argomento, un po’ perché non sanno come gestirlo, un po’ perché, sotto sotto, fa loro impressione.

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Cena natalizia

Essendo una ricorrenza così nazional-popolare, non è un caso che il Natale porti con sé una miriade di proverbi, diversi a seconda delle zone d’Italia. “A Natale, freddo cordiale” mi ha colpito: senz’altro l’intento originario era di alludere al clima gelido in qualche modo mitigato dall’avvicinarsi dell’anno nuovo e dal tepore della convivialità, ma mi piace anche intenderlo al contrario, cioè come una cordialità forzatissima che serve soltanto freddezza in tavola. Al cenone della Vigilia o al pranzo del 25, spesse volte infatti si mette insieme un coacervo di persone con età, opinioni o interessi diversi e che dunque, il più delle volte, si trovano male insieme e non vedono l’ora di finire il cotechino con le lenticchie per fuggire prima del panettone.

Dopo i vent’anni, quando ormai abitavo da un po’ per conto mio, verso metà dicembre cominciavo a sentire un vertiginoso senso di vuoto per l’imminente separazione dalla mia nuova cerchia di amici e persone care che mi ero scelto fuori dal mio paesino d’origine – quella famiglia elettiva o “queer” di cui Michela Murgia ci ha parlato tanto prima di andarsene e che tantə di noi inconsapevolmente avevano già prima, senza averle mai dato un nome. Come me, tuttə loro dovevano rientrare dalle rispettive famiglie, perciò durante le feste natalizie, come per magia, mi ritrovavo a dialogare su WhatsApp con delle nuvolette color panna – distanti, sibilline. Perché una data rossa sul calendario mi imponeva di mettere in pausa la mia vita e di rincasare con la forza? Tutt’oggi mi costringono a festeggiare questa ricorrenza fra parenti e tuttora, se proprio devo, bramo un Natale con entrambe le mie famiglie, quella di sangue e quella d’anima. Chissà se riuscirò mai a organizzarne uno.

Comunque sia, è bene infine ricordare quale incubo sia il Natale per chi una famiglia non ce l’ha più per chissà quali ragioni o per chi, queer o meno, è costrettə a rientrare in case dove dilagano odio e violenza, o anche solo dove i partner non vengono accettati. Non era forse il Natale la festività del bene incondizionato e reciproco? Intorno a me, all’approssimarsi delle feste natalizie, io vedo solo scontentezza, solitudine socialmente indotta o un’ineluttabile arrendevolezza, come se le accettassimo in quanto dogma sceso dal cielo – e tecnicamente questo erano, una tradizione religiosa che tale sarebbe dovuta rimanere. È infatti innegabile che ormai il Natale ha permeato il tessuto sociale; appartiene a tuttə, anche a chi non crede, e per questi motivi ci tocca tenercelo.

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Natale con la famiglia queer

Ma come fare per sopravvivere e arrivare indenni all’Epifania? Anche qui, si può fare affidamento sulla saggezza popolare dei proverbi che, signora mia!, un fondo di verità ce l’hanno sempre. Prendendone uno dei più celebri come esempio, cioè “A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi” – e tralasciando per ora la Pasqua, se no non ne usciamo più – possiamo sovvertire la sacra formula e passare il Natale con chi vogliamo noi, senza basarci su legami di sangue, convenzioni o rispettabilità sociale. Abbiamo il sacrosanto diritto di trascorrere il Natale con chi ci pare: con gli amici al bar di fiducia, coi vicini di casa, col gruppo di yoga, o per conto nostro su’isola tropicale perché non vogliamo vedere nessuno e detestiamo l’inverno, oppure banalmente spiaggiatə sul divano, perché per noi il Natale è quel giorno festivo che sa di triste domenica sera anche se cade di mercoledì. Questo non farà di noi dei mostri asociali senza cuore. Se poi parentela e famiglia elettiva coincidono, e magari vanno pure d’accordo, ben venga, ma non sentiamone l’obbligo. Insomma, a Natale con “queer” vuoi, per Pasqua ci aggiorniamo.

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