"CARO RANIERI, TI AMO"

Nel Salento viene ritrovata una lettera d'amore di Giacomo Leopardi all'amico napoletano. E da Recanati insorgono: "Macché gay, Leopardi era omofobo!". Ma chi era Ranieri e che legame c'era tra i due?

"CARO RANIERI, TI AMO" - leopardi - Gay.it
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ROMA – "Portarmi in tribunale? Ma se si ritrovano innanzi ad un giudice gay saranno loro ad essere sanciti; scontrarmi poi con i leopardiani… non mi sembra il caso".

A parlare così è il giornalista di "Libero", Mattias Mainiero, reo, secondo il Centro Studi leopardiani di Recanati, di aver bollato di omosessualità il grande vate Giacomo Leopardi. Martedì 23 luglio Maniero pubblica la notizia del ritrovamento da parte della Guardia di Finanza della 39ma lettera che il poeta recanatese scrisse all’amico del cuore Antonio Ranieri l’11 dicembre 1832. Ma chi era Ranieri e cosa era davvero per Leopardi?

Nel 1830 Giacomo torna a Firenze, dopo aver concluso il "Canto notturno". Conosce Antonio Ranieri, un esule napoletano bellissimo, letterato e di idee liberali e lo ospita. Un anno e mezzo dopo, Ranieri tenta di scrollarsi di dosso il disagio che provava nei confronti dell’esterno per lo stretto legame che ha con Giacomo ("Povero Ranieri mio! – scrive Leopardi – Se gli uomini ti deridono per mia cagione…"). Si invaghisce dell’attrice Maddalena Pelzet, abbandona Leopardi e Firenze. Nell’aprile 1833 torna nella casa fiorentina ed a settembre, con Giacomo ripartono per Napoli dopo una breve sosta a Roma. Dal 2 ottobre vivranno a Napoli, insieme, fino alla morte di Giacomo, il 14 giugno 1837 durante un’epidemia di colera. Lo scrittore napoletano curò poi un’edizione delle opere del poeta recanatese e nel 1879 pubblicò il libro: "Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi". Quel legame farà discutere storici e letterati per quasi un secolo, fino ad arrivare ai giorni nostri, a testimonianza di quanto sia difficile tentare classificazioni sulle relazioni tra persone.

E infatti, Mainiero su "Libero" considera il ritrovamento della lettera a Lecce una prova che non lascia spazio ad illazioni e, in prima pagina, titola: "Ritrovata la lettera che conferma: Leopardi era gay".

Il giorno dopo, le agenzie di stampa, cominciano a trasmettere segnali di guerra inviati dagli studiosi del Centro di Recanati. Trovano essi, quanto meno una inusitante illazione, l’omosessualità riferita al poeta; si appellano alla legge sulla stampa e non escludono un ricorso in tribunale.

L’insigne parere dei leopardiani trova voce nella professoressa Donatella Donati, responsabile delle relazioni esterne: "Si è preso come prova il linguaggio tenero e affettuosissimo della comunicazione epistolare di quell’epoca. Non è solo a Ranieri che Giacomo rivolge espressioni e frasi come ‘anima mia’, ‘ti amo con tutto il cuore’, ma anche al fratello Carlo, Pietro Giordani o a Francesco Puccinotti".

Da studiosi di letteratura di così alto lignaggio ci si attenderebbe una riflessione più pacata e, magari, dai toni più armonici. Macché! La professoressa Donati ruzzola sulle sue stesse dichiarazioni: "Lo "Zibaldone" – dice – confermerebbe il giudizio negativo di Leopardi sulla pederastia. Quanto nuoccia questo infame vizio alla società ed alla moltiplicazione del genere umano, è manifesto". Omosessualità=pederastia: professoressa Donatella Donati dixit!

Giriamo il tema allo scrittore Enzo Golino: "Non trovo nulla su cui dubitare o poter confermare. Non mi ritrovo in queste polemiche; sono un leopardiano non un leopardista!".

Alberto Savinio è più esplicito: "Giacomo Leopardi è l’unico letterato "femminista" della letteratura italiana. A questo dobbiamo attenerci".

Mauro Giancastro, l’esperto che ha autenticato la lettera ritrovata dalla Finanza di Lecce dietro un quadro in una chiesa del Salento dice: "Giacomo soffriva di solitudine e cercava affetto ovunque. A Ranieri scrive in maniera appassionata, ma da qui ad arrivare a sostenere l’omosessualità c’è differenza".

Parliamo con la professoressa Donati, per capire meglio questa difesa eterofila.

Cosa è successo, professoressa?

L’ha visto anche lei. Un titolo del genere e poi, nell’articolo non ha potuto dare conferma, proprio perché impossibile.

Ma le missive a Ranieri sono un linguaggio d’amore.

Macché! E’ solamente il linguaggio in uso a quel tempo. Le rivelerò parte di qualcosa che avverrà più avanti. Siamo in trattativa per acquisire una donazione da un collezionista. Trattasi di corrispondenza che Leopardi rivolgeva ad un personaggio dell’epoca molto noto, amico anche di Ranieri, e lì usa lo stesso linguaggio. Sono lettere, per la verità, di Ranieri a cui Leopardi faceva dei post-scriptum.

Ne siamo quasi certi anche noi ora, professoressa. Ma perché ha coniugato l’omosessualità alla pederastia?

Io ho citato lo "Zibaldone", dove oltre a quello da me riferito, Leopardi scrive negativamente dell’amore tra persone dello stesso sesso. Le posso però dire qualcosa: ho fatto uno spettacolo teatrale con Ugo Pagliai e Paola Gassmann: "Giacomo ti amo", in cui metto in evidenza la "femminilità" di Leopardi. Da parte mia non c’è censura della femminilità come differenza.

Cos’era in Leopardi questa "femminilità"?

Era una valorizzazione della differenza. Anche il femminismo odierno è di differenza più che di sessualità. Leopardi esaltava il valore della differenza, rispetto all’omologazione; viveva il pensiero dell’uomo ma guardava anche con interesse a tutti gli spunti che arrivavano dal mondo delle donne. Lo stesso Aldo Busi che ho incontrato in casa Leopardi, ha escluso che Giacomo fosse un omosessuale. Detto da lui mi sembra essenziale; poi la vita privata delle persone risulta spesso essere un mistero e non serve etichettare come ha fatto il suo collega. Sa che le donne di Arzano, uscendo dalla messa dicevano: ‘manca solo Leopardi all’annovero gay’. Noi abbiamo solamente voluto dire che, dai documenti in nostro possesso, il poeta non era omosessuale. Questo volevamo specificare: poi chissà!.

di Mario Cirrito

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