Ren Hang, fotografo queer cinese all’apice del successo internazionale, si è tolto la vita ieri a Berlino.
Fotografo per vocazione, più che per scelta – gli studi in marketing gli andavano stretti e nel 2008 iniziò con alcuni ingenui scatti al suo coinquilino -, poeta e controverso intellettuale queer cinese più volte finito sotto la tagliola della censura: tutte queste etichette però, non possono restituire fino in fondo la misura della perdita di Ren Hang, uno tra i più promettenti fotografi della sua generazione.
“Faccio semplicemente quello che mi viene naturale”, amava dire, e infatti i suoi scatti sono privi di qualsiasi affettazione e concettualismo, saturi di un’estetica immediata e priva di orpelli. Il nudo come paradigma e misura della realtà, attraverso cui diceva di sentire “la reale esistenza delle persone”.
Hong si sarebbe tolto la vita sopraffatto dalla depressione.
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Non credo sia giusto, anche se è comprensibile, per chi si sente intrappolato dai lacci del vizio contro natura, dalla morsa feroce e stordente della sodomia e ritiene di non essere più capace di uscire dalla devianza che lo degenera, pensare, come rimedio per la sua condizione, al suicidio.
Il ricorso alla morte, il pensiero di darsi la morte, sono sempre tentazioni da fuggire e da rintuzzare con la fede nelle proprie capacità interiori e nell’aiuto di persone disinteressate, medici, educatori, psicologi o semplicemente amici che, con coscienza, consigliandola contro false compagnie e inserendola in un contesto di valori, sano ed equilibrato, aiuti la persona a riconquistare la propria personalità nella sua interezza e a riguadagnare se stessa, in un’integrità psico-fisica, finalmente ritrovata, come quella di Luca che “prima era gay, ma che ora sta con lei !”
Il processo è difficile, specie per chi, in un’ideologia ammiccante, consolatoria e giustificante, ha pensato di trovare una sorta di legittimazione a degradarsi, a lungo, in pratiche pseudo-sessuali, smarrendo, alla fine, in contesti corrotti contro natura, la capacità di ripugnanza avverso la depravazione di se stessi, ma le cose più difficili sono sempre, alla fine, anche quelle che danno più soddisfazione.
Sei un pezzo di merda. Non sei in grado di portare rispetto nemmeno di fronte alla morte.
Io sono superiore e non ti auguro di crepare solo come un cane… ma ti auguro di vivere a lungo in modo che tu possa prenderti tutti i miei (e quelli di chissà chi altro) vaffanculo fino alla fine dei tuoi giorni.
Questo sarebbe sleale, perché sai che io non potrei risponderti con altrettanti “vaffanculo”, in quanto quella, per te, si sa che è proprio una meta agognata…
E’ un meta che posso raggiungere tranquillamente senza il bisogno del tuo invito.
Complimenti !
queste sì che son le cose che fanno fiero un frocio
ehm cioè un uomo !
Sei un essere spregevole. Dissolviti.
Caro Matteo, so che la vita è stata ingiusta con te. Ma ti prego, non riversare tutta la tua frustrazione sugli altri. E ora vai in pace.
Ge
Non credo sia giusto, anche se è comprensibile, per chi si sente intrappolato dai lacci del vizio contro natura, dalla morsa feroce e stordente della sodomia e ritiene di non essere più capace di uscire dalla devianza che lo degenera, pensare, come rimedio per la sua condizione, al suicidio.
Il ricorso alla morte, il pensiero di darsi la morte, sono sempre tentazioni da fuggire e da rintuzzare con la fede nelle proprie capacità interiori e nell’aiuto di persone disinteressate, medici, educatori, psicologi o semplicemente amici che, con coscienza, consigliandola contro false compagnie e inserendola in un contesto di valori, sano ed equilibrato, aiuti la persona a riconquistare la propria personalità nella sua interezza e a riguadagnare se stessa, in un’integrità psico-fisica, finalmente ritrovata, come quella di Luca che “prima era gay, ma che ora sta con lei !”
Il processo è difficile, specie per chi, in un’ideologia ammiccante, consolatoria e giustificante, ha pensato di trovare una sorta di legittimazione a degradarsi, a lungo, in pratiche pseudo-sessuali, smarrendo, alla fine, in contesti corrotti contro natura, la capacità di ripugnanza avverso la depravazione di se stessi, ma le cose più difficili sono sempre, alla fine, anche quelle che danno più soddisfazione.
Caro Giulio, so che la vita è stata ingiusta con te. Ma ti prego, non riversare tutta la tua frustrazione sugli altri. E ora vai in pace.
Non credo sia giusto, anche se è comprensibile, per chi si sente intrappolato dai lacci del vizio contro natura, dalla morsa feroce e stordente della sodomia e ritiene di non essere più capace di uscire dalla devianza che lo degenera, pensare, come rimedio per la sua condizione, al suicidio.
Il ricorso alla morte, il pensiero di darsi la morte, sono sempre tentazioni da fuggire e da rintuzzare con la fede nelle proprie capacità interiori e nell’aiuto di persone disinteressate, medici, educatori, psicologi o semplicemente amici che, con coscienza, consigliandola contro false compagnie e inserendola in un contesto di valori, sano ed equilibrato, aiuti la persona a riconquistare la propria personalità nella sua interezza e a riguadagnare se stessa, in un’integrità psico-fisica, finalmente ritrovata, come quella di Luca che “prima era gay, ma che ora sta con lei !”
Il processo è difficile, specie per chi, in un’ideologia ammiccante, consolatoria e giustificante, ha pensato di trovare una sorta di legittimazione a degradarsi, a lungo, in pratiche pseudo-sessuali, smarrendo, alla fine, in contesti corrotti contro natura, la capacità di ripugnanza avverso la depravazione di se stessi, ma le cose più difficili sono sempre, alla fine, anche quelle che danno più soddisfazione.