L’estate scorsa scrissi, a proposito dei parchi, che li trovavo magnifici ma soffrivo per lo stato di degrado in cui versavano. Sapevo che in pochi avrebbero sposato la causa ecologista e che mi sarei tirato addosso gli strali di più generazioni di moralisti ma sentivo il bisogno di difendere quei luoghi all’aperto dove non occorrono soldi né tessere e dove è possibile chiacchierare, fare sesso o scambiare il numero di telefono per poi rivedersi. Talvolta perfino le tre cose insieme.
In realtà, anche se a Bologna o Padova, per esempio, mi sono ritrovato in posti di cui conservo un ottimo ricordo, è Monte Caprino che rimarrà per sempre nel mio cuore, non diversamente da come ha scritto un anonimo lettore sul forum. Non pretendo che tutti mostrino lo stesso entusiasmo, ma nemmeno che ci si limiti a criticare con il solito mix eccessivo di acidità, presunzione e falso perbenismo, lo squallore di certi posti da ‘pervertiti’, le presunte menzogne di chi parla di socializzazione, l’inutilità nel 2009 di posti simili, i continui pericoli, perfino il freddo.
E’ vero, d’inverno a Monte fa freddo. Non ne hanno colpa le frasche, gli antichi muri e nemmeno i suoi frequentatori, ma bisogna farsene una ragione: fa freddo, specie la notte. Ma d’estate, quella parte del colle sacro a Giove è una meraviglia. Un po’ per le possibilità che offre di trascorrere una piacevole serata, un po’ per il fresco che vi si respira dopo l’afa del giorno, circondati dai suoi pini secolari che svettano alti e attraverso i quali fa spesso capolino la luna.
Anche se non sempre si fanno incontri eccezionali, anche se il suo declino è cominciato già da anni e si sono visti chiudere spazi uno dopo l’altro, disboscare il verde e aumentare l’illuminazione, tuttavia permette ancora di trascorrere piacevoli serate. Senza musica, senza vestiti alla moda, senza biglietto e, va aggiunto, senza nemmeno l’obbligo di fare sesso.
Ci si va con gli amici o da soli, a fare due passi, a chiacchierare, a vedere chi c’è, senza escludere nulla. D’altronde era proprio lì che ci incontrava d’estate prima che fiorissero le ‘gay street’: ci si riversava tutti nella piazza o sulle scalinate della chiesa, poi ci si divideva e magari ci si tornava qualche ora dopo, poco prima dell’alba, per gli ultimi fuochi. Pericoli grandi, nonostante quello che si diceva, negli ultimi 15 anni non ci sono stati, grazie anche alla maggiore illuminazione.
Perché va smentito un fastidioso luogo comune: non è vero che tutti gli amanti del cruising preferiscano l’oscurità. C’è pure chi, come me, detesta le dark e si inibisce al buio, trovandosi meglio con la luce o, meglio ancora, con la penombra. Personalmente, non ho mai amato ‘Palombini’ e non ho versato una lacrima sulla chiusura del parco di Piazza Sempione. Non ne condanno i frequentatori, ma detesto che si faccia di tutta un’erba un fascio.
Monte mi ha accompagnato, più o meno assiduamente, per tutti questi anni di vita gaya, dal lontano ’93. E’ stato il luogo delle prime esperienze occasionali, le belle come le brutte, quelle al termine delle quali sognavo già un nuovo amore e quelle che mi facevano sputare in terra per cancellare il sapore amaro dell’incontro appena concluso. Lì ho vissuto momenti di sesso improvvisato e situazioni esilaranti, ho visto passare vecchi e giovani (magari gli stessi che ne parlano male), italiani e stranieri, chi cercava la storia e chi le trasgressioni più forti.
Lì ho incontrato fidanzati e amanti strepitosi mai più rivisti, amici occasionali e altri con cui ho condiviso ciò che rimaneva della mia giovinezza. Ho conosciuto personaggi non certo erotici ma a loro modo indimenticabili. Come il piccolo ometto che fermava chiunque passasse facendogli l’imitazione della Jervolino e della Lollo o cantandogli le canzoni di Barbra Streisand. Oppure il travestito col litro di Tavernello in mano e la risposta sempre pronta, che, quando si sentiva chiamare da lontano, rispondeva immancabilmente con voce profonda: "Chi sei?".
Per questo 2009 vorrei tanto che i gay fossero più tolleranti e meno moralisti, che capissero che la differenza è forza e che per ottenere più libertà bisogna anche essere disposti a concederla. E mi auguro che in quel luogo, per me magico nonostante tutti i suoi limiti, chiunque lo desideri possa tornare a trascorrervi una serata, al caldo o al freddo, per fare sesso o per ammirare la magnificenza del Teatro di Marcello, bere alla fontanella vicina ai resti del tempio di Giove e proseguire attraverso i Fori per sbucare sulla piazza del Campidoglio, mano nella mano con il fidanzato o con un ragazzo appena conosciuto. Perché nessun luogo dalla pessima fama è mai stato altrettanto bello.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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