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Squid Game e queer coding: se essere gay rimane solo un vizio

Squid Game è la serie Netflix dei record. Dalla Corea del Sud con furore, ha conquistato la critica. Tuttavia, a livello di rappresentatività LGBT, mostra evidenti debolezze, pur strizzando l’occhio al pubblico queer.

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2 min. di lettura

Un’isola come arena, tanti giochi da bambini, un sadico torturatore, 456 giocatori in bancarotta che si sfidano alla sopravvivenza per conquistare un montepremi da favola. Questi gli ingredienti vincenti di Squid Game, la serie sudcoreana dei record firmata Netflix, che nell’arco di appena due settimane ha raccolto il placet di pubblico e critica.

Squid Game ha sbancato, sia su Netflix (di cui non conosciamo i dati di ascolto, ma questo è un altro discorso…) che sui social, dove si è conquistata un posto speciale fra le tendenze di questo principio di ottobre. Altro che le scarpe platform e le tinte neutre, quest’autunno vanno di moda le Vans bianche e le coloratissime divise dei protagonisti della serie, che porta in scena il dramma del capitalismo, rigorosamente in chiave k-pop. Su Internet si sprecano i meme tratti dai primi episodi, che vedono protagonisti soprattutto la bambola gigante dell’un, due, tre, stella! o il biscotto di zucchero del secondo gioco, ma sono virali anche molte fancam (montaggi di video celebrativi, ndr) su alcuni personaggi, finiti al centro di fantasiose ship. Insomma coppie immaginarie, nate nella mente degli spettatori, che costruiscono storie parallele a quella principale, sia in formato video che testuale.



Le ship più condivise sui social sono a tinte arcobaleno. Qui ci fermiamo, allerta spoiler. Nonostante nessun protagonista della serie sia dichiaratamente parte della comunità LGBT, c’è chi fantastica sul possibile coinvolgimento sentimentale delle coppie che, nell’episodio dedicato al gioco delle biglie, scelgono di fare squadra, inconsapevoli del destino manicheo di morte che attende loro. In un team da due, uno sopravvive e l’altro ci lascia le penne. Tra le coppie, quella più amata è quella composta da HoYeon Jung (la disertrice nordcoreana Kang Sae-byeok) e Lee Yoo-mi (l’omicida Ji-yeong). Le loro parole delicate, accompagnate da lunghi silenzi, fino ad arrivare al sacrifico dell’assassina per la sua prima amica dall’uscita dal carcere, sono stati letti come momenti chiave di una relazione lampo, più intensa rispetto a quella fra colleghe di gioco ed avversarie.

Stessa sorte per il pakistano Abdul Ali, interpretato da Tripathi Anupam, e il “traditore” Cho Sang-woo (Park Hae-soo), che pur determinando con un imbroglio la morte dell’amico, il popolo della rete non riesce a distinguere dal compagno di merende. Non che il regista non indugi su alcuni comportamenti, espressioni e sguardi, giocando tra i non detti una partita su cui campeggia il titolo di queer-coding, quella lettura solo suggerita di un personaggio come queer. La soluzione patetica viene imboccata dalla sceneggiatura, che pure rappresenta come personaggio attratto da individui dello stesso sesso solo un cattivo cattivissimo, un VIP, per giunta stupratore. L’omosessualità palese solo in formato perverso, in un mondo a sé in cui nulla va come dovrebbe, dove i potenti si divertono ad osservare da uno schermo i loro simili mentre perdono la vita, disumanizzandosi.

Non che un antagonista non possa essere gay, come specifica a chiare lettere il portale Digital Spy, ma il fatto è che l’unico personaggio che dimostra di non essere eterosessuale mette in pratica tutti i pregiudizi e gli stereotipi sull’argomento. Un vecchio pederasta, che minaccia chi non si sottopone al proprio volere. Seppur funzionale alla trama, la costruzione del personaggio manifesta delle carenze evidenti nella rappresentanza queer e nella gestione della materia LGBTQ+ da parte della serie e, in senso lato, di gran parte dell’audiovisivo sudcoreano. Che pure, come sta fornendo lustro all’industria culturale del paese nel mondo, ha il compito di portare l’attenzione sui temi sentiti dalle nuove generazioni, attualmente in lotta per la conquista di maggiori diritti civili.

 

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One thought on “Squid Game e queer coding: se essere gay rimane solo un vizio

  1. Ma c’e’ sul serio gente che si preoccupa di immaginarsi con chi vanno a letto dei personaggi di una fiction, e si inventa pure che rappresentino una valanga di persone reali solo perche’ hanno in comune simili tendenze sessuali?

    In Squid Game l’omosessualita’ sara’ un vizio, e gli eterosessuali sono tutti un branco di stronzi che fanno fuori altra gente per noia…

    Volendo dividere il mondo in due categorie separate, che non esiste proprio, uno potrebbe pensare che gli etero siano rappresentati peggio…

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