Un lucido, duro, insolito dramma cileno, ‘Tony Manero’, opera seconda di Pablo Larraín che sarà distribuita da Ripley’s Film a gennaio, ha stravinto il 26° Torino Film Festival aggiudicandosi ben tre premi: miglior film, miglior attore (lo strepitoso protagonista Alfredo Castro, curiosamente simile ad Al Pacino più che a John Travolta) e Premio Fipresci della critica, la cui motivazione lo definisce “un ritratto potente, dall’umorismo cupo, indirettamente politico, della vita sotto uno stato di polizia fortemente repressivo, incarnato da uno psicopatico aspirante ballerino di disco-music, che un uso spietato della camera a mano disseziona”.
Siamo a Santiago del Cile nel 1978, durante il regime totalitario di Pinochet. Il cinquantenne protagonista, Raul Peralta, è ossessionato dal personaggio di John Travolta in ‘La febbre del sabato sera’, e si allena imitandolo in un baretto di periferia nella speranza di vincere un concorso televisivo per sosia. Arriverà persino a uccidere chi intralcia il suo sogno puerile, come il proiezionista che cambia pellicola e proietta ‘Grease’ o il vetraio che vende troppo care le mattonelle per realizzare un pavimento al neon identico a quello su cui balla Travolta nel film di John Badham. E quando il ballerino effeminato con cui si allena comprerà anch’egli un completo bianco per partecipare al provino televisivo, non esiterà a defecarci sopra per non far partecipare il rivale alla competizione trash.
Con una messa in scena rigorosa e un uso particolare del fuori fuoco come metafora dell’annebbiarsi della coscienza dei personaggi, Larraín raffredda l’anima camp della sceneggiatura e firma una nerissima allegoria della perdita d’identità di un intero popolo, come dice il regista “una società con le mani sporche di sangue che però si sforza di apparire alla moda, ballando sotto le luci stroboscopiche e ignorando la sofferenza altrui. Un paese che ha voltato le spalle a sé stesso in cambio di uno sogno di progresso”.
Resta quasi a secco – vince solo il Premio Invito alla Scuola Holden – l’altro favorito della competizione, l’interessante film tedesco ‘Die Welle’ (‘L’onda’) di Dennis Gansel in cui un docente tedesco, durante un corso intensivo sull’autocrazia, tenta l’esperimento di ricreare in piccolo un modello totalitario ma il gioco gli sfugge di mano e il movimento scolastico di stampo neonazista scatena un’irrefrenabile ondata di violenza (la scena in cui rischia di crollare un soffitto perché al piano di sopra l’intera classe sta battendo i piedi all’unisono ha comprensibilmente raggelato la platea torinese).
A conferma del particolare interesse riservato quest’anno alle opere lesbogay, nella sezione ‘L’amore degli inizi’ è stato presentato l’esordio datato 1980 del napoletano Salvatore Piscicelli, il saffico ‘Immacolata e Concetta – L’altra gelosia’ in cui si racconta l’amore proibito di due donne (Ida Di Benedetto e Marcella Michelangeli) che si sono conosciute in carcere a Pomigliano D’Arco e, una volta uscite di prigione, decidono di vivere liberamente il loro amore prendendo casa insieme e dando inevitabilmente scandalo.
“Sullo sfondo dei problemi e delle preoccupazioni che hanno accompagnato l’elaborazione di questo film si colloca la crisi delle certezze ideologiche che ha investito la mia generazione”, spiega il regista. “In questo film si parla della donna, della sessualità, dei ruoli, della passione amorosa, della morte. Sono temi che si vorrebbero sottratti definitivamente ala diatriba ideologica per essere ricondotti alla loro sfera reale di appartenenza, l’esperienza concreta degli uomini: in questo caso, là dove essa si manifesta come rapporto fantasmatico con lo schermo”.
Intanto, Moretti può festeggiare gli ottimi risultati del suo secondo TFF, con un incremento del 25% degli incassi e ottimi riscontri critici; tra una settimana si saprà se prolungherà il suo mandato da direttore: dopo le sue dichiarazioni sul non poter conciliare il suo nuovo ruolo col mestiere di regista ma avendo per ora solo ‘un soggettino pronto’ per il nuovo film, è possibile che per almeno un anno decida di restare ancora al timone del festival. Ma si sa, Moretti è Moretti; quindi, per dirla con Cunningham, “il futuro pullula di possibilità”.
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