VENEZIA – Premi politici più che artistici. Vince il Leone d’Oro della 59a Mostra del Cinema di Venezia ‘Magdalene‘ (The Magdalene Sisters) di Peter Mullan, un bel film su un vergognoso episodio rimosso dalla Chiesa, i conventi-lager della Dublino anni ’60 – ma l’ultimo è stato chiuso solo nel 1996 – in cui venivano segregate ragazze madri, ritardate o semplicemente troppo avvenenti.
Il film è indubbiamente meritevole ma non era il migliore (‘Dolls‘ di Kitano resta al palo). C’è anche una scena con sottotesto lesbico: una suora malvagia fa spogliare integralmente le ragazze e gioca a chi ha il seno più grosso e il sesso più irsuto tra scherno e umiliazioni. I cattolici sono insorti. Ma Mullan è un attore scozzese premiatissimo – Palma d’Oro per ‘My name is Joe‘ di Ken Loach – passato con successo alla regia e già autore dello splendido ‘Orphans‘ in cui faceva scoperchiare il tetto di una chiesa da un furibondo uragano. E ‘Magdalene‘ è vibrante ed essenziale, non cede alle trappole emotive della lacrimuccia facile e ricattatoria, è toccante e vigoroso (l’inquadratura finale è un pugno nello stomaco) ma manca di quell’autoriale marcia in più che l’avrebbe reso un Leone davvero appagante. La critica urla allo scandalo invece per il Gran Premio della Giuria a ‘La casa dei pazzi‘ di Konchalovskij, uno dei film meno apprezzati del concorso. Premiazione francamente imbarazzante, presentata dal ‘re dell’ovvio’ Gigi Marzullo con stile da sagra della ribollita e tagliatissima in tv causa il ritardo di quaranta minuti dovuto a Miss Italia.
Sciocca e campanilista (anzi, ‘campanista’ visto che è dedicata a Dino Campana "che non ha mai vinto nessun premio") la Coppa Volpi come miglior attore a Stefano Accorsi per ‘Un viaggio chiamato amore‘ in cui eccelle per retorica e stralunamento fine a se stesso in una delle interpretazioni più monocordi della sua carriera. Ma ormai i press agent lo vogliono lanciare come il nuovo Mastroianni e un premio al traballante ed esangue cinema italiano, con Francesca Neri in giuria, sa solo di bieco nazionalismo. Miglior attrice l’eccelsa Julianne Moore del film gay ‘Far from Heaven‘ di Todd Haynes (segnalato anche per la miglior fotografia dai color caramellati di Ed Lachman, anche regista di ‘Ken Park‘) in cui è una quieta casalinga degli anni ’50 che sorprende il maritino con un uomo.
Il regista Haynes, a proposito del film, ha dichiarato: "A quel tempo l’omosessualità veniva considerata una malattia. Perfino nei circoli più civili e ben educati, considerarla tale era il modo più tollerante per giustificarla. Tuttavia, quando ho fatto ricerche sull’omosessualità e i trattamenti dell’epoca, sono rimastro sorpreso. Si penserebbe che negli anni ’50 adottassero trattamenti shock perché pensiamo ad anni repressivi. In realtà, risultano dei grandi cambiamenti già alla fine degli anni ’40: in alcuni trattati dei dottori sostengono che l’omosessualità non è una malattia, ma una condizione che non si può veramente cambiare. Quindi erano molto più avanti di quanto pensassi." Riguardo al bacio gay sullo schermo, il protagonista Dennis Quaid ha commentato: "Riguarda il fatto che siamo esseri umani ed è un’espressione d’amore. Come ogni scena d’amore, la parte più difficile è stata l’attesa prima di girarla, poi l’abbiamo ripetuta tre o quattro volte… Ehi, era solo una giornata di lavoro!" Haynes conferma: "Non c’è stato nessun problema con Dennis nel girare la scena. Al primo ciak era, come dire, troppo mascolino. Gli ho detto di essere più semplice, tenero e romantico. Cosa più difficile e forse più timorosa da farsi, ma è stato grande." ‘Far From Heaven‘ verrà distribuito nel 2003 dalla Eagle Pictures.
Tra i pochi film omo di questa edizione da segnalare ‘Aprimi il cuore‘ di Giada Colagrande nella sezione ‘Nuovi Territori’ in cui una prostituta vive con la sorella minore Caterina un rapporto morboso: le fa da madre, sorella e amante. Non la fa mai uscire di casa, se non per mandarla a scuola di danza, finché Caterina si innamora di Giovanni, il custode della scuola di danza. Quando Maria li scopre, sarà follia omicida. La regista pescarese ventisettenne ha dichiarato: "Filmare l’amore è dare una forma a qualcosa di non rappresentabile, un gesto che mi rimanda alla scultura di Michelangelo, al suo tirar fuori, in levare, l’anima dalla materia. E chissà se andando a levare gli schemi razionali che costituiscono l’etica e la morale di quasi ogni uomo e che classificano l’amore in diverse tipologie non scopriremo che a ognuna di queste appartengono delle pulsioni sessuali. E delle pulsioni omicide al dolore e alla disperazione". Nel film immagini destinate a creare polemiche: quando la sorella prostituta fa l’amore, appaiono immagini della Madonna. La Colagrande interpreta il film assieme a Natalie Cristiani, attrice con cui divide l’appartamento a Roma, dove e’ stato girato il film. "La Madonna paragonata alla sorella prostituta? La Madonna e’ tutto – spiega la 26enne regista – e’ anche madre, sorella e amante. Io non credo alla verginita’ della Madonna, e se si guarda la letteratura mariana, si vede che Maria e’ anche donna del popolo, ignorante come un caprone, e donna sensuale che non dimentica la sua carnalita’".
Bilanci: film medio-brutti, disorganizzazione generale, proiezioni sovrapposte, confusione diffusa. Il direttore tedesco, aiutato dalla fedele moglie Erika addetta al protocollo e al cerimoniale, è un gran simpaticone e ha avuto solo quattro mesi per preparare la mostra ma i risultati scricchiolano. Rimpiangiamo le ormai lontane edizioni Pontecorvo, in cui i film erano per lo più belli e Gillo veniva tra noi spettatori a chiederci come andavano le cose. E’ poi è un po’ inquietante, nell’era Berlusconiana, incrociare al Lido Haider che si imbuca alla festa del film ‘The Tracker‘ di Rolf De Heer, il quale, saputo della presenza del leader austriaco, se n’è andato indignato. Oppure sentir sbraitare Vittorio Sgarbi che tenta di entrare a una proiezione senza accredito né biglietto.
Di gay ben poco, oltre alle anarchiche ‘Mucche ingravidate dalla nebbia‘ del fedele Rosa Von Praunheim: tornano alla grande i machi (Harrison Ford comandante di sottomarini russi in ‘K-19‘, Clint Eastwood poliziotto cardiopatico in ‘Blood Work‘) e i gruppi sociali antigay (le suore, i neonazisti, i gangsters). Per il prossimo anno De Hadeln è in forse. Per i film gay aspettiamo un altro berlinese. Il Festival.
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