UN BEEFCAKE INSAPORE

Siamo di fronte a un film fondamentalmente voyeuristico nel quale il regista, con lo stesso spirito del fotografo Mizer, si compiace di mostrarci una miriade di muscolosi dell’epoca e di ragazzi di oggi che interpretano quei modelli. Manca del tutto nel film la capacità di dare qualche spiegazione, di approfondire il fenomeno storico.

UN BEEFCAKE INSAPORE - 0248 beefcake 3 - Gay.it
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C’è chi l’ha definito la pellicola del Gay Pride per la sua uscita quasi contemporanea con la trionfale parata romana (ma in realtà poco lega i due eventi). Beefcake è un piccolo film, che sembra essere realizzato con pochi mezzi. Si nota e si apprezza la ricerca meticolosa che ha preceduto le riprese, tipica di una certa cultura anglosassone sempre precisa e attenta ai minimi particolari. Ricerca delle immagini di repertorio, dei personaggi dell’epoca, dei fatti legati alla storia narrata. Ma nello stesso tempo si nota la mancanza di un’idea forte che dia originalità alla pellicola, tipico difetto di un certo tipo di prodotto di stampo nordamericano. E dunque assistiamo durante tutta la proiezione a una serie di interviste a personaggi che gravitarono intorno al protagonista del film, il fotografo Bob Mizer che per primo negli Stati Uniti, intorno agli anni Cinquanta, inventò la rivista gay patinata ritraendo bei ragazzi muscolosi coperti soltanto da un microscopico perizoma. Nelle pagine dei suoi giornali, che andavano a ruba, si dichiarava di voler esaltare la cultura fisica e in effetti essi possono esser considerati gli antesignani delle riviste di body building. Ma alle autorità dell’epoca non sfuggirono il fine omoerotico di quelle pubblicazioni in un periodo molto buio della storia americana nel quale il Maccartismo censurava ogni forma di libera espressione per cui il povero Mizer, insieme ad altri, fu perseguito e sbattuto anche in galera. Il film contiene molte testimonianze interessanti, una fra tutte, quella del mitico Joe D’Allesandro, che dai filmetti e dai giornalini dell’AMG (l’agenzia di Mizer) arrivò ad essere l’oggetto artistico di un genio come Andy Wharol che lo fece protagonista del film culto The Flesh. In realtà, fa molta tristezza confrontare il conturbante ragazzo di un tempo ritratto da Mizer con il D’Allesandro dei nostri giorni che una vita non proprio regolare ha conciato malissimo. E il film di Thom Fitzgerald non va molto oltre queste testimonianze alternate a parti sceneggiate che illustrano le situazioni narrate dai protagonisti. Siamo di fronte a un film fondamentalmente voyeristico nel quale il regista, con lo stesso spirito del fotografo Mizer, si compiace di mostrarci una miriade di muscolosi dell’epoca e di ragazzi di oggi che interpretano quei modelli. Manca del tutto nel film la capacità di dare qualche spiegazione, di approfondire il fenomeno, di ricostruire l’atmosfera culturale di quegli anni e di raccogliere le impressioni del pubblico che pure fu numeroso e che decretò il successo di Mizer il quale nonostante le persecuzioni, in tempi più tranquilli, lavorò fino alla morte, avvenuta nei primi anni degli anni Novanta, senza mai scadere nel pornografico. Del film allora ci rimangono le gustose immagini di questi ragazzoni americani belli e muscolosi ma il beefcake che il titolo promette risulta francamente un po’ insapore.

Beefcake

di Thom Fitzgerald

Interpreti: Daniel Maclvor, Joshua Peace, Carrol Godsman, Jack Griffin Mazeika, Jonathan Torrens, Jack LaLanne, Joe Dallesandro

Durata: 97 min.

Produzione: Canada/Francia/Gran Bretagna, 1999

di Alberto Bartolomeo

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