CULTURA GAY: L’ULTIMO TABÙ

Occuparsi di omosessualità seriamente porta all'isolamento. Anche negli ambienti intellettuali. Ma la colpa è anche di molti "studiosi" gay che hanno preteso una falsa integrazione.

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5 min. di lettura

Stanca dell’isolamento (e anche della scarsa considerazione) che la ricerca “selvatica” ottiene, (…) decido (…) di cambiare argomento di ricerca, dedicandomi alle politiche sulla prostituzione“.
Così Daniela Danna sul suo sito, scherzando ma non troppo, spiega perché, dopo avere pubblicato come “opera prima” una delle più belle storie del lesbismo esistenti, e poi altri libri a tema (fra cui uno sui matrimonio gay ed uno sulle madri lesbiche) da quando è entrata a far parte del mondo accademico si occupa quasi solo di prostituzione eterosessuale.
Ripeto, quella di Daniela è una battuta… ma non troppo. Perché la sua esperienza è comune a chiunque abbia cercato di occuparsi di cultura e informazione glbt: non si viene presi sul serio.
E non solo dal mondo accademico, che su questo argomento in Italia è ancora ai livelli dei Talebani. È proprio il mondo omosessuale il primo a non comprendere l’importanza della battaglia della cultura. Perché?
Diciamo che qui c’è stata nei decenni scorsi un battaglia, e che è stata persa. E che la colpa ricade soprattutto sulle persone omosessuali stesse.
Ora, capisco che qui molti mi possano chiedere qui: “E anche fosse?”. Lo so, quello che si chiede a un sito gay come     questo è che mostri maschi nudi, e che faciliti il “cuccaggio” eccetera. E la cultura a questo non serve…
O forse sì?
A ben vedere, la battaglia gay è sempre stata (per nostra fortuna) una battaglia culturale. Noi non abbiamo mai preso le armi per compiere atti di vera “battaglia”, in senso fisico. S’è trattato sempre e solo di fare cambiare opinioni, mentalità, punti di vista: insomma, s’è trattato di cambiare la cultura.
E allora i siti gay, signori miei, esistono solo dove è stata vinta la battaglia culturale che sostiene il loro diritto a esistere!
Perché la cultura non è costituita da elenchi di date e nomi, come pensa la maggioranza delle persone. Se così fosse, qualsiasi computer sarebbe “colto”, e nessun essere umano lo sarebbe.
La cultura è tutt’altra cosa: è l’insieme delle cose che sappiamo, e che ci aspettiamo dal mondo che ci circonda. Quali che siano. Sapere come si accende un fiammifero è cultura. Anzi, già sapere cosa sia e a cosa serva, lo è: fa parte della nostra cultura.
Quella stessa cultura in cui le persone glbt hanno deciso di fare entrare un paio d’idee nuove:

  • donne e uomini omosessuali non sono malati, ma solo parte di una variante naturale dell’essere umano,
  • e hanno lo stesso tipo di diritti (e doveri) delle altre persone con tendenze sessuali più diffuse.

Sembra forse banale, ma è da decenni che si cerca di cambiare il mondo affinché queste idee banali vengano accettate.
E il bilancio, su questa strada, mostra molte vittorie, ma anche molte sconfitte.
Una di queste ultime si èmregistrata in Italia.
A causa del numero piccolissimo di coloro che si sono interessati al dibattito sulla cultura, la “battaglia” ha avuto forse l’aspetto d’un battibecco fra comari in un cortile. Ma anche così, lo scontro c’è stato.

  • Da un lato chi (ed io faccio parte di questo campo) ha sostenuto il bisogno di una cultura omosessuale autonoma, con una produzione d’idee autonoma: dalle cose più importanti (la progettazione politica, l’etica, la filosofia) fino alle cose forse meno “serie”, ma quotidiane, come le banali canzonette. La scommessa era creare una cultura gay capace di confrontarsi con la cultura generale, dando risposte autonome, mirate ai bisogni del mondo glbt.
  • Dall’altro lato di chi puntava a, uso le loro parole, non ghettizzarsi, cercando di usare la “Cultura con la C maiuscola”, così com’è, per ricavarne volta per volta ciò che servisse al mondo glbt, ma senza creare una “cultura glbt” autonoma. “La Cultura è una sola”, “è universale”, e “non sopporta aggettivi”.
  • Per citare le parole di Francesco Gnerre, uno degli esponenti più illustri di questo approccio, “Lo scrittore deve dar conto della verità dei sentimenti, delle emozioni dei suoi personaggi, non della loro caratterizzazione sessuale. Teoricamente non esistono libri omosessuali. Uno scrittore gay ha giustamente la pretesa di leggere il mondo nella sua totalità, non accetta di essere interpretare solo un aspetto particolare della realtà. La scrittura non è né eterosessuale né omosessuale“.

Detta così, entrambe le opzioni sembrano altrettanto ragionevoli. Quindi non è stato un errore provarle entrambe.
E a prima vista non è stato neppure un male che la seconda ipotesi, che dopo tutto era anche la meno faticosa (non occorreva costruire nulla ex novo) sia stata quella che ha trionfato fino ad oggi.
E però…
Però l’Italia è la sola grande nazione europea in cui non sia mai stata pubblicata una storia dell’omosessualità.
Però l’Italia ha oggi un’Università impermeabile al concetto di gay studies.
Però l’Italia è l’unico grande Paese europeo in cui non esista produzione di canzonette a tema gay.
Però in Italia non esistono “scrittori gay” (“la scrittura non è né eterosessuale né omosessuale“, no?).
Però se vogliamo in personaggio gay in una banalissima sitcom, o ne guardiamo una straniera, o nisba.
Però in Italia, scendendo sempre più di livello culturale, i gay non passano neppure al “Grande fratello”.
Però…
Però l’Italia è ormai l’unico grande Paese europeo a non avere una legge sulle unioni civili
Un dubbio: non ci sarà mica un legame fra questi fenomeni?
Io dico di sì. Perché la nostra è una battaglia d’idee. E basta leggere un forum qualsiasi di gay.it, e vedere che i gay italiani ragionano, argomentano e parlano come i loro nemici, per capire perché gli etero italiani non sentano bisogno di accettare idee e “pretese” che non hanno mai messo radici neppure nel mondo gay…
Non si può strillare “l’omosessualità non esiste!” e poi chiedere le unioni civili per gli omosessuali! Eppure noi lo abbiamo fatto.
Ah… gli italiani…
I nostri nemici hanno insomma capito una cosa che ai gay è ancora poco chiara. Che quella gay è una battaglia culturale, e che per bloccare le “pretese” dei froci bastava cedere su tutto (la commercializzazione del sesso, la pornografia…) ma non sulla cultura.
E poiché della pornografia importa a molti, mentre della cultura importa a pochissimi, lo scambio è parso equo alla maggior parte di noi.
In questo modo ci hanno dato tutto… meno ciò che volevamo avere.
Alla lunga però stanno venendo a galla gli svantaggi di questa situazione.
Perché se non esiste una cultura omosessuale, allora non c’è bisogno di prenderla sul serio quando si manifesta. Così, lo stesso Francesco Gnerre, dopo avere creato un seminario universitario nel campo in cui è l’indiscussa autorità in Italia, la letteratura omosessuale, s’è visto negare i fondi per proseguire. Censurato!
Come si vede, Danna scherzava, ma solo fino ad un certo punto…
Com’è stato possibile? Be’, ce lo siamo anche voluti noi, a furia di strillare che la cultura omosessuale non esiste, perché “la Cultura non ha aggettivi”.
Infatti, se non esiste una cultura omosessuale, che bisogno c’è di studiarla? A studiare i romanzi a tema glbt sono sufficienti i corsi già esistenti, giusto? Non vogliamo mica “ghettizzare” uno Scrittore definendolo gay solo perché è gay da mattina a sera e parla solo di gay dalla prima all’ultima pagina e solo con un’ottica gay… giusto?
E così, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui tutta la cultura gay esistente è prodotta al di fuori e in contrapposizione con l’establishment culturale. Il quale resta dominato da una cultura che, con la scusa del non avere aggettivi, nasconde quelli che ha: eterosessuale, cattolica, maschilista, razzista e borghese.
Consola perciò notare come di recente anche esponenti della tendenza del “non-dobbiamo-ghettizzarci” stiano riconsiderando le loro opinioni, perché si guardano attorno e vedono il deserto creato dalla smania di “non ghettizzarci”… ad esclusione delle oasi di coloro che questa paura non l’hanno mai avuta e sono andati avanti per conto loro.
Da questo punto di vista è incoraggiante il recentissimo testo filosofico di Tommaso Giartosio (in passato esponente del partito del “non-ghettizzarci”), Perché non possiamo non dirci (Feltrinelli, 2004), che ora tenta un compromesso: usa sì solo gli strumenti della cultura eterosessuale (trascurando quelli della cultura gay) però lo fa per sostenere che una cultura omosessuale, insomma, esiste, e andrebbe riconosciuta.
È poco, rispetto a quel che nel frattempo hanno fatto, ottenuto e concluso le persone glbt all’estero… ma per il panorama italiana è già un enorme passo avanti.
Speriamo che sia solo il primo di una lunga serie.
 
 
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di Giovanni Dall’Orto

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