È uscita ieri su Netflix Beckham, docuserie in quattro parti che mostra i retroscena di una star del calcio mondiale e icona culturale: David Beckham, tra le figure più note del pianeta. Dagli umili inizi tra la classe operaia di East London, con la sua volontà e determinazione a vincere e tramite la battaglia per trovare un equilibrio tra ambizione, amore e famiglia, la storia di David è stata un susseguirsi di enormi alti e bassi.
Alla premiere di Beckham, diretta dal premio Oscar® Fisher Stevens, l’ex calciatore del Milan è tornato sui mondiali di calcio in Qatar di fine 2022, che lo videro strapagato testimonial da oltre 100 milioni di euro. Uno schiaffo per la comunità LGBTQIA+ britannica, visto e considerato che Beckham è sempre stato considerato un alleato, marito dell’ex Spice Girls Victoria, piegatosi ai petrol dollari di un Paese orgogliosamente omobitransfobico. Ma l’ex stella del Manchester non ha rimpianti, anzi.
Intervistato da Sky News alla première della docuserie, Beckham ha difeso la sua decisione, dando una sua lettura a dir poco discutibile di quanto avvenuto in Qatar.
“Per me essere coinvolto in un altro Mondiale è stato importante, ho sempre detto che il calcio è un gioco che va condiviso in tutto il mondo. Questa è stata un’opportunità per una nazione araba di organizzare una Coppa del Mondo, di ospitare uno dei più grandi eventi sportivi del mondo. Una volta lì, sapevamo che ci sarebbero state persone che ne avrebbero parlato un po’ di più, o avrebbero lasciato che fosse il calcio a parlare. Molte persone erano felici, nessuno si è avvicinato a me. Ho avuto molte conversazioni con la comunità LGBTQ quando ero in Qatar. Mi hanno detto che sono stati trattati benissimo, che si sono divertiti, l’hanno definita la Coppa del Mondo più sicura da tanto tempo a questa parte. Alla fine, è stata una competizione importante e per me era importante farne parte”.
Peccato che in Qatar il clima nei confronti delle persone LGBTQIA+ sia stato tutt’altro che amichevole. Hotel che non volevano coppie gay al loro interno, bandiere rainbow sequestrate all’ingresso degli stadi, persone portate via e arrestate. Il clima di tensione è stato palpabile sin dal fischio d’inizio ed è proseguito per l’intera manifestazione, con la Fifa silente e complice, tanto dall’aver vietato ai capitani delle varie nazionali di indossare una fascia arcobaleno contro l’omobitransfobia. Nel dubbio, dopo l’insensata assegnazione dei mondiali 2030 a Spagna, Portogallo e Marocco, con 3 gare giocate in Sud America, 6 Paesi e 3 continenti coinvolti, la tavola è stata apparecchiata per il 2034, quando l’Arabia Saudita proverà a far suoi i mondiali di quel Calcio che si sta comprando a suon di contratti fantascientifici, nascondendo la vergogna dei diritti negati sotto il manto erboso di stadi spaziali.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.