La mia tesi di laurea con lo schwa: perché non fare un’altra rivoluzione?

Il giovane linguista ci ha parlato della sua tesi con schwa, linguaggio genderless, e altre cose scomode che fanno paura ai puristi.

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schwa tesi di laurea schwa
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Chi ha paura dello Schwa?

Che se ne parli per strada, in televisione (come nel caso dei sottotitoli dei Diversity Awards 2023), o tra i banchi di scuola (vedi lo studente che l’ha introdotta nei temi di maturità sfidando la commissione), quella piccola lettera genera dibattiti, dissapori, e crisi esistenziali anche tra le figure più autoritarie. Tra chi l’asfalta senza passare dal via perché “scomoda” e “cacofonica”, a chi parte proprio da questa cosiddetta scomodità per aprire una conversazione più grande.

È il caso di Andrea Antonio Orlandi, attivista e linguista italiano e persona non-binaria (i suoi pronomi sono he/they), che si è laureato lo scorso Dicembre presso la Facoltà di Lingue dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con una tesi intitolata “Dissimmetrie di trattamento donna-uomo in inglese e forme genderless a beneficio della comunità trans* italofona: una ricerca sociolinguistica”. Un lavoro che si intrufola nelle convenzioni e le ribalta su più piani: dalla scelta di scrivere “relatrice” invece di “relatore” (data la sua stesura con l’ausilio di una professoressa), a quella di trattare un argomento che tra accademici/che della Crusca è tutto fuorché supportato.

Ma Andrea si è chiesto: se le vite di noi persone LGBTQIA+ sono già una rivoluzione costante, perché non fare un’altra rivoluzione ancora?

Il progetto è diviso in due parti: dall’analisi di dissimmetrie linguistiche della lingua inglese ad aspetti queer e transfemministi di quella italiana – tra termini automaticamente binari o che si rifanno a caratteristiche attribuite ad un genere piuttosto che un altro –, fino all’evoluzione della lingua ai giorni nostri e l’introduzione dello Schwa come parte di un dibattito work in progress che tenga conto di tutte quelle soggettività che dentro al binarismo di genere non si rivedono.

Moltə non vedono la tesi triennale come qualcosa di così grande,” – mi spiega Andrea – “ma questa tesi ha avuto per me un impatto molto forte perché tratta l’esposizione dei miei principi sia in quanto neolinguista, sia in quanto persona queer che non ha paura di agire per la mia comunità, al pubblico parlante, soprattutto unendo le mie due passioni principali, che sono lingua e linguaggio ed attivismo LGBTQIA+.

Se c’è chi ritiene non possa esserci intersezionalità tra tematiche LGBTQIA+ e linguistica, per Andrea si tratta di un minimo sforzo che esiste in qualunque altro contesto: “Unə fanaticə del calcio che vuole imparare il cognome non tipicamente italiano di un calciatore, lo farà” – mi spiega Andrea – “Ma quando si tratta di non riferirsi a qualcunə con pronomi maschili o femminili è troppo difficile. Si può, ma non si vuole”.

Andrea riconosce le complicanze dello Schwa nella lingua odierna, ma accompagnato e sostenuto dagli interventi della Dott.ssa Vera Gheno (intervistata nel secondo capitolo della sua tesi), ritiene che questa presunta alienazione del linguaggio non solo è possibile, ma può essere normalizzata: “La lingua è una costante variazione”.

Non è statica, ma dinamica, e cambia continuamente in base al contesto socioculturale e storico in cui viviamo”, spiega Andrea, facendo notare che se così non fosse, staremmo ancora parlando un italiano al sapore forte di etrusco o latino.

Ma le “complicanze insormontabili” dello Schwa sono più comuni di quanto un governo di centro destra o linguistə poco liberali vorrebbero raccontarci: “Non fa parte del nostro alfabeto, ma la pronuncia è ben conosciuta nella nostra lingua. Vari dialetti italiani, come il siciliano o, ancora di più, il dialetto napoletano, presentano il suono dello Schwa costantemente senza nessuna complicazione, anzi caratterizzandoli. Perché allora questo non è possibile nell’italiano standard?”, chiede Andrea.

Come sottolinea nella propria tesi, lo Schwa non vuole essere una forma neutra o superiore a quelle binarie. Ma se nella lingua inglese o nelle altre lingue romanze il problema si presenta ma si sono trovate delle soluzioni linguistiche ampiamente supportate e lentamente messe in atto, in quella italiana è lo Schwa a voler indicare un’assenza di genere che va a favore di ogni soggettività coinvolta: “Se mi riferisco a te, senza sapere dei tuoi pronomi o della tua identità di genere, perché devo farti perdere il senso della tua identità con una sola parola – perché sappiamo benissimo che la lingua ha un potere non indifferente –, perché farlo? Quando si possono utilizzare delle forme che non esplicitano il genere per evitare qualsiasi problema mio e tuo?”

Con il proprio lavoro Andrea spera non solo di espandere il verbo, ma anche di contribuire a mettere in discussione una fetta di pubblico più ampia, non circoscritta ai contesti transfemministi. Soprattutto, prova che una tesi di laurea gender-neutral nel 2023 è possibile “senza cadere nel buffo, nell’’ardito, o nel ridicolo”.

La lingua è docile, scrive Andrea, ma è fatta da chi la parla quotidianamente, al di là di cosa decide l’Accademia della Crusca o Giorgia Meloni che vuole vietare gli anglicismi. Che piaccia o meno, bannare l’evoluzione della lingua non fa altro che generare l’effetto contrario: “Pensiamo ai moti di Stonewall: noi siamo statə forzatə a non esistere e non esprimerci, ma più questa cosa avveniva, più bar come lo Stonewall Inn facevano rivoluzione ballando”.

Andrea ci tiene a sottolineare che l’uso dello Schwa non è necessariamente l’unica e sola soluzione, ma una delle possibilità che possiamo considerare durante un dibattito che non smette di evolversi. Se oggi lo Schwa suona ostico e contraddittorio, è anche l’occasione per percorrere una strada che è già stata aperta e pone l’attenzione su quelle esigenze linguistiche che non possiamo più ignorare a favore della tradizione.

Lo Schwa è possibile, ma siamo ancora in una fase di iperproduzione. Molte persone non usano lo Schwa, ma preferisco l’asterisco oppure l’uso della -u”, continua Andrea, “ma non possiamo dire che lo Schwa si deve o non si deve usare, perché ricadremmo nel conservatorismo e prescrittivismo linguistico e non potremmo progredire. Possiamo solo studiare e analizzare di più queste questioni e trovare delle soluzioni alle varie divergenze. È proprio grazie a questo dibattito che nascono tesi come la mia”.

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