La visibilità trans è sicuramente una delle caratteristiche peculiari del cinema queer contemporaneo e non secondario è un target maschile etero che potrebbe essere attratto dal mondo trans (ma attenzione: è derivativa rispetto al prodotto televisivo, si pensi soprattutto all’impatto mediatico di serie di successo come Transparent oppure Orange Is The New Black).
Conferma la tendenza un discreto melò francese, Lola Pater del regista franco-algerino Nadir Moknèche, uscito in Francia ma ancora senza una distribuzione italiana. La storia raccontata è una vicenda di ricongiungimento familiare gender: l’accordatore Zino (Tewfik Jallab), alla morte dell’adorata madre, va alla ricerca del papà, Farid, che l’ha abbandonato venticinque anni prima.
Scova un indirizzo a cui corrisponde però una scuola di danze orientali gestita da un’appariscente signora che convive con una donna: è in realtà suo padre che ha cambiato sesso un quarto di secolo prima e ora si fa chiamare Lola.
Non lascia certo indifferenti la suprema Fanny Ardant, quintessenza di una femminilità imperiosa e leonina, avvolta maestosamente da pellicciona scarlatta, in questa singolare interpretazione trans in cui riduce al massimo ogni riferimento al passato maschile – resta solo una voce roca dai toni bassi – proprio per esaltarne l’identità ritrovata: si evita così ogni parodia dagli echi camp anche se lo spettatore all’inizio fa un po’ fatica a vedere il personaggio di Farid/Lola e non solo Fanny Ardant che a tratti sembra divorare l’intero film.
Quando Lola si reca a Parigi nel tentativo di riallacciare i rapporti col figlio Zino, sconvolto dalla rivelazione, inizierà un lungo processo di ‘accordatura sentimentale’ soprattutto per far accettare il cambio di sesso che Zino, eterosessuale con compagna non così presente, vive essenzialmente come una ‘castrazione’ del padre. Ma grazie anche all’intercessione di una zia benevola, Zino si metterà in gioco nell’accettazione del percorso di vita del genitore che non ha mai smesso di amare la moglie defunta e continua a preferire le donne.
È un peccato, però, che tutta la parte più esotica relativa alla cultura anche musicale algerina resti in ombra (sarebbe stato interessante scoprire qualcosa di più sulle contraddizioni tra gender e tradizioni musulmane) mentre la seconda metà del film scivola un po’ fiaccamente, illuminata comunque da qualche chicca memorabile, come Lola-Fanny che riprende il barman impacciato dell’hotel che ha osato darle del ‘monsieur’ dopo aver ascoltato una telefonata in cui Lola rivela la sua natura trans.
Se l’impressione finale è che la narrazione a volte sia troppo smussata per un soggetto così incandescente, sicuramente Lola Pater resta un cinetassello importante nella restituzione di dignità ai personaggi trans, spesso demonizzati ridicolmente o pallide caricature di una femminilità esagerata perché imitata e non interiorizzata. Meglio Fanny, meglio Lola, amabile trans della porta accanto.
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