Quante cotte a Capocotta

Un piccolo miracolo a costo minimo girato sulla celebre spiaggia gay laziale: è il grazioso 'Un altro pianeta' di Stefano Tummolini vincitore del Queer Lion. Azzeccato il protagonista Antonio Merone.

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C’è qualcosa di nuovo sotto il sole. Un cinema italiano fresco, spigliato, con pochi mezzi ma tante idee, dall’anima intergenere, una vera new wave non solo queer che sa reinventare intrecci e personaggi cercando non tanto di evitare lo stereotipo ma scavandoci dentro alla ricerca di nuovi sensi e significati, in cui l’identità sessuale resta fuori campo perché fluttuante e sfuggevole o al contrario diventa terreno di incontro/scontro allo scopo di un’affermazione/accettazione profonda di sé e comprensione dell’altro, il fantomatico ‘diverso’.

È il caso del grazioso Un altro pianeta di Stefano Tummolini, un piccolo, piccolissimo film vincitore del Queer Lion a Venezia, presentato in anteprima a Torino grazie al festival gay Da Sodoma a Hollywood e in uscita domani per l’altrettanto minuta Ripley’s film e quindi da coltivare attraverso il passaparola (come un altro film italiano, il bellissimo Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti che ha festeggiato un anno di permanenza in sala).

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L’altro pianeta del titolo è l’assolata spiaggia di Capocotta sul Lido di Ostia, rustico paradiso del desiderio, fuori porta e a buon mercato, popolato da gay e/o naturisti aficionados per cui è diventato nel tempo una vera istituzione estiva. In questo contesto rohmeriano si muove intorno all’ombroso protagonista campano Salvatore (Antonio Merone, azzeccato) una colorata fauna ambisex più o meno smandrappata in un afoso pomeriggio di giugno: il ragazzo fiorentino piacente, l’ochetta formosa con padre in coma, la direttrice editoriale annoiata, la ragazza timida con un segreto più grande di lei. Qualche confidenza, gli sciatti test da rivistaccia estiva, un po’ di crema, un salto al bar, l’oroscopo alla radio, andiamo a fare il bagno, tanti ricordi, forse troppi. L’altro pianeta forse è solo un po’ più in là, dietro le dune, dove s’infratta Salvatore all’inizio del film dopo aver attraversato la statale trafficata (e lo scandalo sarebbe un pompino fuori campo e due minuti di nudo integrale maschile? Ben venga, se serve a fare pubblicità al film!). Ma il vero universo da esplorare è tutto dietro ai volti che improvvisamente diventano corrucciati, nei racconti dei più o meno grandi drammi della vita, degli amori passati che passati non sono mai, delle spensierate schermaglie amorose da avventurina estiva per riuscire a distrarsi un po’ ma che poi ti restano dentro come fedeli compagni di viaggio: insomma, chi non ha nel cuore i migliori battuage della propria vita? L’altro pianeta in orbita poco distante è il Saturno (Contro) di Ozpetek evocato nel film – Tummolini è un suo collaboratore – e descritto come un bell’uomo anche simpatico.

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La bravura di Tummolini sta tutta nella leggerezza (abbiamo scomodato Rohmer ma, anche se non c’è paragone riguardo allo spessore dei dialoghi, nei suoi borghesucci viziati c’è molto più snobismo, eccome!), nell’ironia dell’introspezione psicologica con cui stempera la malinconia quando fa capolino e vuole imporsi rischiando il patetico ("invece dei bambini noi teniamo i trans… Strillano pure questi!"), nella proprietà stilistica attraverso un uso appropriato della luce naturale che compensa la sgranatura del video HDV e una regia sorvegliata e zavattinianamente incollata ai personaggi.

«La sceneggiatura nasce da un tentativo di canovaccio scritto diversi anni fa quando non eravamo riusciti a trovare i soldi per fare il film» ci spiega Tummolini, che si ritaglia nel film un piccolo cameo di bagnante. «Poi, molto tempo dopo, è nato il copione e grazie a Rolando Colla abbiamo messo insieme il cast. In realtà nei sette giorni di riprese non abbiamo lavorato molto sull’improvvisazione anche se alcuni personaggi, come quello interpretato da Tiziana Avarista (Eva, ndr), è cambiato quando eravamo sul set. Girarlo ci è costato la somma irrisoria di circa mille euro. Anche per la postproduzione si è speso relativamente poco: 100-150 mila euro per il riversamento su pellicola e la stampa delle copie, una cifra comunque modesta. Abbiamo da poco avuto il responso della censura: per fortuna Un altro pianeta non ha subito alcun taglio. A proposito delle musiche devo ringraziare il Togay dove due anni fa ho incontrato Maria Antonietta Sisini che ci ha concesso la canzone di Giuni Russo ("Mediterranea", ndr)». «Se avessimo allungato i tempi sarebbe stato un rischio, non sarebbe stato facile mettere tutti insieme» commenta Antonio Marone. «Comunque per una settimana abbiamo lavorato dalle 6.30 del mattino alle 8.00 di sera!»

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Quando gli chiediamo se la signora col telefono che appare in Un altro pianeta è sua moglie, Merone ci spiega che non è la consorte ma la sorella. A quel punto la curiosità è forte: gli chiediamo se è etero o gay. Apriti cielo. Merone si inalbera per la domanda personale e tergiversa quando vogliamo capire da che lato indosserebbe la maglietta che si vede nel film con scritto "Sono etero" sul davanti e "Sono gay" dietro. Insomma, sembra un paradosso, ma essere gay e bisex al cinema sta diventando più facile che nella realtà!

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