Ci sono artisti che nascono nei posti più impensabili, ci sono performer anche sui confini a nord del mondo, là dove ogni libertà sembra perduta e dove ogni angolo è grigio, quasi senz’anima. Non solo per il paesaggio, ma anche per la sua storia. Magadan è un ex gulag, in Siberia, in uno dei luoghi meno ospitali della Terra, dove oggi vivono pescatori e lavoratori di multinazionali energetiche. È qui che nasce Gena Marvin, la queer performer protagonista di “Queendom” il documentario di Agniia Galdanova, che sta avendo successo in tutto il mondo (occidentale).
Gena Marvin nasce là dove ogni colore sembra sbiadito, ma la sua anima è così piena di vita che sente la necessità di essere sé stessa. L’ambiente che la circonda non la capisce, nemmeno la famiglia. Il nonno, con cui vive dopo che le sono morti i genitori, non accetta di rivolgersi a lei con i pronomi femminili e cerca in ogni modo di ristabilire l’identità maschile di Gena, naturalmente invano. Cerca di arruolarla nell’esercito e di farle fare la carriera all’interno dell’industria ittica. La sua è una lotta contro i Titani, non può vincerla e Gena lo sa. Nonostante sia giovanissima (e forse anche per questo) è già un enorme esempio di resistenza.
In questa situazione oppressiva, Gena inizia a creare delle performance e a postarle sui social, ha solo 16 anni. Si lascia ispirare da alcune icone del passato, da famose drag queen ad alcuni artisti che hanno fatto la storia della body art. Icone indimenticabili, come Amanda Lepore e Leigh Bowery. Soprattutto alcuni outfit di quest’ultimo, insieme a Slender Man, ricordano i personaggi di Gena Marvin, tutti costruiti con l’arte del riciclo e l’utilizzo dei rifiuti. Un’immagine aliena dalla testa rasata, dalle unghie lunghissime e dagli occhi completamente neri la caratterizzano. I suoi primi esperimenti trovano un pubblico interessato sui social, che la mostrano a un mondo, quello russo, non abituato a questo tipo di arte. Un tipo di arte che i media censurano.
La vita e le performance di Gena si fanno racconto con l’incontro di Agniia Galdanova, che in quel momento sta cercando drag queen russe per il suo prossimo documentario. L’obiettivo di Agniia è mostrare la resistenza all’interno della Russia putiniana, quella resistenza di performer capaci di portare avanti una lotta contro un potere persuasivo che li discrimina, insieme a tutti gli appartenenti alla comunità LGBT+. La regista, però, non vuole raccontare le performer di città, quelle che già si conoscono o che trovano più facilmente subculture affini in aree metropolitane. Il suo interesse è per artisti di periferia e quando sente di una performer nata e cresciuta a Magadan capisce che è quella la strada da percorrere per il suo prossimo lavoro. L’incontro con Gena è fondamentale – il documentario sarà tutto incentrato su lei, sui suoi personaggi, gli incontri e gli scontri con le forze dell’ordine. È il 2019 quando inizia a filmare “Queendom”, è qui che nasce il racconto. Una narrazione frammentata eppure continuativa, che mostra l’euforia e le difficoltà di una giovane performer russa.
Questi quattro anni di filmati sono un racconto di resistenza contro il potere oppressivo, sia sociale che politico-giuridico. Rappresentano la resistenza politica contro Putin, contro la guerra, per la pace e l’uguaglianza. Emblematica la performance durante la manifestazione di Mosca per la libertà di Alexey Navalny del 2021, quando Gena manifesta tutta avvolta nel nastro adesivo tricolore, simbolo della bandiera russa, patria ma anche oppressione. E non sarà l’unica manifestazione a cui prenderà parte. Più il potere si fa liberticida, più la comunità Lgbtq viene discriminata, più trova il coraggio di mostrarsi. Tuttavia, le condizioni si fanno sempre più complicate.
Quella di Gena è anche una vita fatta di abbandoni, che non significa solo lasciare Magadan e la famiglia per raggiungere Mosca e la vita dei club che la mantengono. Nel 2022 si trova costretta a lasciare la Russia, quando decide di sfilare contro la guerra in Ucraina, girovagando per le strade della capitale avvolta nel filo spinato. In quel momento riesce a scampare all’arresto grazie all’accoglienza della Francia, che accetta la sua richiesta di asilo. Una volta a Parigi non smette di mostrare la sua capacità artistica come performance artist, ma è sicuramente più al sicuro che a Mosca, dove non avrebbe potuto più scappare dalla coscrizione obbligatoria.
In questi anni Gena non è sola. Accanto a lei c’è tutta la squadra di Agniia e la stessa regista non la lascia mai. Neanche durante l’arresto, quando anche lei si trova in manette, insieme a Gena. È un gesto di sorellanza, di vicinanza e di forza. “Queendom” diventa così un manifesto di lotta politica capace di mostrare la forza dell’arte performativa con un racconto in presa diretta che è unico.
Grandi festival del cinema, non solo queer, si sono accorti della forza espressiva del racconto. Uno fra tutti, il BFI London Film Festival. “Queendom” riesce a vincere premi in tutta Europa e anche negli Stati Uniti, facendo di questo documentario un grande esempio di rivalsa. In Italia il film è stato premiato al Mix Festival 37 di Milano. Non solo i festival, si accorgono di questo importante documento anche grandi giornali come Vice Uk e il Guardian, che lo recensiscono positivamente. Lo spaccato di Gena Marvin e di Agniia Galdanova è arte che racconta di arte, è vita, è politica, è performance.
In Italia la fruizione di “Queendom” non è semplice, così come per tutti quei film che non hanno una distribuzione, perché viene presentato solo attraverso festival. La prossima data è a Fondazione Prada, a Milano, venerdì 12 gennaio alle 20:30. Saranno presenti l’artista e la regista, la serata è organizzata dal Mix Festival.
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