“Non ci sarà nessuno stralcio. Io proverò a portare a casa la stepchild adoption. È dura, ma non è impossibile”. Sarebbero queste, secondo la normalmente molto ben informata giornalista del Corriere della Sera, Maria Teresa Mele, le parole che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi avrebbe pronunciato ieri a chi gli chiedeva cosa intendesse fare dopo il #DietroFrontM5S , lanciato ieri dal leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Mentre, intanto, la “conta” dei “malpancisti” dei senatori pentastellati dà per il momento, su 35 membri del gruppo parlamentare, 28 sì alla stepchild adoption, 1 no quasi sicuro, due dubbiosi e ancora 4 senatori che non si sono espressi.
Ma veniamo al primo ministro. “Io devo portare a casa questa legge”, pare abbia detto Matteo Renzi ieri senza troppi giri di parole, com’è nel suo stile. E’ per l’appunto Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera di oggi a descrivere un Presidente del Consiglio non molto preoccupato dalle minacce degli alleati centristi: sa bene Renzi che Angelino Alfano non farà saltare il banco del governo su un voto autonomo del Senato e che l’uscita di Beppe Grillo di ieri è la riprova, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che coi 5 Stelle non esiste alcuna alleanza politica, ma solo – al massimo, se verrà confermata dal voto in Senato – una semplice convergenza di idee sul ddl Cirinnà. Tanto più adesso che l’ultimo sondaggio riservato arrivato a palazzo Chigi segna una crescita del Pd, che si attesta al 35,2 per cento e, invece, un calo del Movimento 5 stelle, che scende al 22,4. “In realtà – avrebbe detto secondo il Corriere il premier ai suoi collaboratori, dando voce alle sue preoccupazioni – Grillo sta puntando a far saltare tutta la legge, non solo la stepchild adoption“: ed è proprio questo lo scenario che il presidente del Consiglio punta a scongiurare.
Del resto i numeri dicono che il ddl Cirinnà, con la stepchild com’è attualmente disegnata nell’articolo 5, può passare in Senato. Nel voto sulle pregiudiziali di costituzionalità, M5S e Partito Democratico hanno votato compatti: da soli, infatti, possono contare, calcolando le assenze, su circa 140 voti, cui si sono aggiunti circa 50 voti di altri gruppi (in primis la sinistra di SEL ed i verdiniani del gruppo ALA, con Sandro Bondi e Manuela Repetti in testa). Le pregiudiziali di costituzionalità sono state respinte con 191 voti e 3 astenuti (che al Senato contano come no): per ribaltare il risultato su qualche emendamento “scivoloso” che riguarda in particolare l’articolo 5 servirebbero 40 senatori circa ed i “malpancisti” del Partito Democratico e dei 5 Stelle non raggiungono quella quota. Al massimo, infatti, parliamo di 30 senatori, salvo che nel segreto dell’urna qualcuno – dentro il PD o dentro soprattutto il M5S – non voglia far saltare il banco.
Ed allora, come è già successo in altre occasioni, la preoccupazione è che i nostri diritti vengano schiacciati nella tenaglia dei giochi politici tra i partiti. Salvo che il PD, all’ultimo tuffo, non dia retta alla ‘fazione malpancista’ rappresentata dai senatori cattodem e decida di votare uno degli emendamenti che limano la stepchild o danno la patata bollente al governo con una delega, sperando che i M5S a quel punto non decidano di togliere del tutto il loro voto dal ddl Cirinnà. Non rimane, quindi, che attendere giovedì 11, quando inizieranno le votazioni sugli emendamenti.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.