The Visitor, recensione. Il Teorema politico, depravato e sovversivo di Bruce LaBruce

Un'opera dissacrante che fa politica attraverso la pornografia, prendendo a schiaffi la Gran Bretagna contemporanea omaggiando Pier Paolo Pasolini.

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Dopo aver sconvolto il Festival di Berlino The Visitor di Bruce LaBruce ha travolto anche il Lovers Film Festival di Torino, presentandosi fuori Concorso con la sua dirompente ed eversiva potenza.

Ambientata nella Londra contemporanea, l’ultima provocazione cinematografica del 60enne artista, regista, scrittore, fotografo e sceneggiatore canadese, icona del cinema LGBTQIA+ internazionale, prende a schiaffi la Gran Bretagna e le sue politiche sull’immigrazione, omaggiando dichiaratamente Teorema di Pier Paolo Pasolini.

L’inizio della pellicola, a dir poco straniante e a tratti respingente, è da questo punto di vista emblematico. In vari punti di Londra vengono ritrovate misteriose valigie da cui fuoriescono uomini dall’aspetto identico, neri e senza vestiti, muscolosi e inquietanti. Nel frattempo un tappeto audio contrasta con le immagini, perché una voce furibonda vomita parole stracolme di odio nei confronti degli stranieri. Una voce reale, appartenente ad un politico di destra inglese, che LaBruce ha voluto inserire nel film dopo averla ascoltata in radio, sconvolto.

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Tra questi immigrati ce n’è uno (Bishop Black) che emerge dalle acque del Tamigi. Completamente nudo, si veste con gli abiti di un senzatetto e arriva alla porta di una famiglia dell’alta borghesia. Qui fa la conoscenza della cameriera, che ha le apparenti sembianze di un uomo, e viene invitato a lavorare come domestico. Ben presto questo “Visitatore” farà sesso con ogni singolo abitante della casa. Il padre di famiglia, sua moglie, suo figlio, sua figlia, la stessa cameriera. Un alieno venuto da un altro mondo per colonizzare i colonizzatori, per seminare libertà sessuale, per spalancare gambe come frontiere, per dare slancio ad una rivoluzione queer che non contempli limiti e/o preconcetti, per dire basta al colonialismo, al capitalismo e a politiche estremiste, discriminatorie, oppressive.

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Bruce LaBruce rivisita, in chiave queer e post moderna, uno dei capolavori di PPP, con risultati psichedelici e pornografici, traghettandone la carica eversiva nel presente.

Una metafora esplicitata, quella dipinta da LaBruce, nei confronti di un Paese che ha chiuso le proprie frontiere, in trincea contro il “diverso”. Un’opera fieramente politica e volutamente dissacrante, in cui Bruce LaBruce fa Bruce LaBruce all’ennesima potenza, tornando al cinema dei suoi esordi, così esplicito e sovversivo. Perché in 100 minuti si vede di tutto.

Coprofagia (chiaro l’omaggio a Salò o le 120 giornate di Sodoma), incesto, blasfemia, bondage, sadomaso, soffocamento,  con orifizi in ogni modo violati. LaBruce fa politica attiva attraverso il lunguaggio del corpo e del porno, con lunghe scene di sesso che coinvolgono tutti i componenti della ricca famiglia, prima sedotta e poi seviziata dal Visitatore dagli occhi senza vita. Il padre fa prima sesso con sua figlia (che ha la barba) e poi con suo figlio, dopo aver ovviamente ceduto ogni buco su piazza al Visitatore senza nome, che fa crossdressing e bacia, lecca, penetra, riempie e soddisfa chiunque gli capiti a tiro. Tutto questo Bruce LaBruce lo mostra, senza remora alcuna, con eiaculazioni e peni in erezione, ani deflorati e vagine stimolate.

Tra split screen a colori, recitazione ai limiti del demenziale, cartelli fluo sparati su musica elettronica che sottolineano il senso della messa in scena e dialoghi ridotti all’osso, The Visitor, che alla lunga cede alla ridondanza e ad una certa prolissità narrativa, si presenta con coraggio e fierezza come opera carnale, installazione artistica allucinogena e ultra-punk, manifesto Queercore lontano da ogni contemporanea convenzione cinematografica, che attraverso il sesso senza freni e la liberazione queer indica l’unica salvifica via d’uscita ad un mondo segnato da xenofobia e omobitransfobia.

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