Se il mondo del calcio sta tentanto, o almeno alcuni suoi alti esponenti, di eliminare il tabù dell’omosessualità nello sport più popolare d’Italia, il mondo dello scoutismo spinge invece nella direzione opposta, presentando l’omosessualità come problema e ritenendo inopportuno che un capo scout omosessuale faccia coming out, dato il suo ruolo educativo.
A rivelarlo sono le linee guida dell’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) per i propri capi emerse da un seminario di studio organizzato dalla rivista "Scout – Proposta educativa", a quanto pare proprio su sollecitazione dei capi scout italiani che chiedevano che l’associazione si occupasse di un tema sempre più all’ordine del giorno, ovvero quello dell’omosessualità e del coming out. A rivelare la notizia è Repubblica.it che cita direttamente gli atti del seminario dai quali emerge come, dagli interventi dei relatori emerga una visione dell’eterosessualità come orientamento "giusto" verso cui indirizzare i giovani scout, contro quello omosessuale.
Relatori dell’incontro, tenutosi lo scorso novembre, ma i cui atti sono stati resi pubblici solo ora, erano il prete domenicano Padre Francesco Compagnoni (Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento adulti scout cattolici italiani, docente di teologia morale nelle Facoltà di Teologia e di Scienze sociali della Pontificia Università S. Tommaso di Roma), lo psicologo e psicoterapeuta Dario Contardo Seghi (che, tra l’altro, dirige un centro di psicologia dello sviluppo e scolastica e lavora come volontario nei consultori di ispirazione cristiana) e la psicologa e psicoterapeuta Manuela Tomisich (docente di Teorie e tecniche della mediazione familiare-comunitaria presso l’Università Cattolica di Milano).
Nessuna definizione esplicita dell’omosessualità come malattia, né assimilazioni alla pedofilia, anzi, Padre Compagnoni precisa che "l’omosessualità non ha nulla a che vedere con la pedofilia", ma ricorda che " le relazioni tra persone omosessuali, secondo la Sacra Scrittura, sono gravi depravazioni. Per questo, le persone omosessuali sono chiamate alla castità". Secondo il domenicano, poi, gay e lesbiche si troverebbero "in difficoltà con il loro sesso corporeo" facendo una certa confusione tra omosessuali e transgender.
"Le persone omosessuali, in linea generale, hanno dei problemi non solo sul piano sociale, ma anche con loro stessi" dice padre Compagnoni che spiega come essere gay sia "un fatto di struttura ormonale e, quindi, anche di struttura cerebrale". Ecco perché i capi scout, che hanno il ruolo di educatori nei confronti dei ragazzi che guidano, non possono fare coming out perché non è un "buon esempio" da dare. L’omosessualità rappresenta, per gli scout un "problema educativo" se presentata come "possibilità positiva dell’orientamento sessuale" da parte dei capi ai propri ragazzi. Anzi, un buon capo, davanti ad un ragazzo gay, dovrebbe consigliare ai genitori di rivolgersi ad uno psicologo. Ed ecco che, seppure non viene detto esplicitamente, l’omosessualtià viene trattata alla stregua di una malattia.
E se questo può essere poco sorprendente, dato che a dirlo è un uomo di chiesa, anche gli psicologi intervenuti non sono su linee differenti. Per il dottor Contardo Serghi, infatti, l’omosessualità può rivelarsi una situazione reversibile perché, secondo lo psicoterapeuta, alcune persone diventerebbero gay in seguito a traumi.
Una ragazza che ha avuto esperienze violente o negative con gli uomini, per esempio, potrebbe "sviluppare una dimensione omosessuale perché il pensiero inconscio è: ‘se il maschio è brutale io trovo più facilmente soddisfazione affettiva con un’altra donna’". Alcuni gay, poi, sarebbero "etero latenti" che male interpretano alcune sensazioni che provano convincendosi di essere omosessuali. Ma c’è di più.
Secondo Seghi, il coming out sarebbe "il bisogno che a volte un capo ha di manifestare ed esprimere i problemi della sua identità" che rivelerebbe una persona affetta da "protagonismo" e questa sarebbe una "situazione non essere opportuna in riferimento al percorso di crescita dei ragazzi".
Negli atti non si fa mai riferimento all’omosessualità come malattia, ma le posizioni prese da padre Compagnoni e dal dott. Seghi, di fatto, richiamano alla mente proprio l’atteggiamento di un terapeuta nei confronti di un paziente, ad esempio nel riferimento alla "reversibilità" e all’origine dell’omosessualità da ritrovare in un trauma. Per non parlare del fatto che, comunque, essere gay viene presentato come sbagliato e come un modello educativo da non fare ai ragazzi, invitanto i capi a vivere la propria eventuale omosessualità reprimendola.
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