Nel dibattito sulla cosiddetta “teoria del gender”, la retorica conservatrice spesso si appella alla tutela dellə più piccolə come baluardo contro una presunta ‘corruzione’ da parte della comunità LGBTQIA+.
Questa narrazione suggerisce che bambinə e adolescenti necessitino di essere ‘salvaguardatə’ dall’influenza di individui queer che, secondo questa logica, avrebbero l’intento di indottrinarlə verso orientamenti sessuali e identità di genere non normativi.
È definita teoria grooming, che di base delegittima le identità queer, relegandole a mere perversioni sessuali.
Ma se fossero proprio questə giovanissimə ad avere più bisogno di inclusività e tolleranza da parte di quei genitori che – ingenuamente o dolosamente – li schermano dal discorso?
Diversi studi dimostrano infatti che una persona inizia a farsi domande o a riconoscere il proprio orientamento sessuale e identità di genere – il cosiddetto questioning – già nei primi anni in cui viene socializzata.
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Che si tratti di eterosessualità, omosessualità, identità cisgender, transgender, non binaria, partiamo però dal presupposto che non esista un’età giusta e stabilita per riconoscersi o per fare coming out.
A che età cominciamo a farci delle domande?
La società impone da sempre una serie di norme che si manifestano nella vita di ogni individuo fin dalla più tenera età.
Sappiamo, ad esempio, che l’autocategorizzazione rispetto all’identità di genere inizia già nei primi anni di vita, tra i 3 e 5 anni, secondo quanto dimostrato da Gender cognition in transgender children, uno studio pubblicato nel “Psychological Science” nel 2015.
I risultati qui suggeriscono come lə bambinə transgender non siano “confusə” o “indecisə” riguardo alla loro identità di genere, ma piuttosto si autocategorizzino in modo molto simile allə loro coetaneə cisgender.
Tale ricerca ha aperto la strada a ulteriori studi nel campo dell’identità di genere nei bambini e ha contribuito a sfatare alcuni miti comuni e stereotipi riguardanti la comunità LGBTQIA+. Allo stesso modo, anche la consapevolezza dell’orientamento sessuale può emergere in età precoce.
Secondo i risultati di “Sexual orientation and its basis in brain structure and function”, pubblicato nel Proceedings of the National Academy of Sciences, esistono infatti sottili differenze neurologiche correlate con l’orientamento sessuale e l’identità di genere, e che queste differenze possono essere rilevate già in giovane età.
Non sei “troppo giovane” per essere LGBTQIA+
Nonostante le evidenze scientifiche dimostrino quanto sia dannoso, quando un giovane individuo esprime apertamente un orientamento sessuale non eterosessuale, o un’identità di genere non cisgender, la risposta comune è spesso di svalutare o mettere in dubbio queste affermazioni.
Si presume che sia “troppo giovane per saperlo“, che stia semplicemente attraversando una “fase“, o che sia stato influenzato da qualcuno. Curiosamente, questa logica selettiva non viene mai applicata ai giovani che si identificano come eterosessuali.
Questo doppio standard è particolarmente nocivo. Innanzitutto, riduce le identità LGBTQIA+ a semplici scelte o capricci temporanei, alimentando così stereotipi negativi e discriminazione.
In secondo luogo, invalida l’esperienza emotiva e psicologica dellə giovani, che possono già trovare difficile affrontare questioni legate all’identità in un mondo che non sempre è accogliente.
Uno studio intitolato “Family Rejection as a Predictor of Negative Health Outcomes” condotto da Caitlin Ryan presso la San Francisco State University, ad esempio, collega il rifiuto familiare verso lə giovani LGBTQIA+ a un aumentato rischio di depressione, tentativo di suicidio e uso di sostanze.
Il minimizzare o ignorare il coming out può essere percepito come una forma di ostilità o negazione, che potrebbe quindi portare a simili esiti negativi.
Un altro studio, “The Significance of Parenting and Parent-Child Relationships for Sexual and Gender Minority Adolescents“, pubblicato nel “J Res Adolesc.“, sottolinea quindi l’importanza del supporto familiare nel processo di coming out.
A che età si viene a patti con la propria identità?
Secondo l’indagine “EU LGBTI Survey II” promossa da FRA – “European Union Agency for Fundamental Rights”, le persone in Europa diventano pienamente consapevoli della propria identità in media poco dopo i 14 anni.
In Italia, la media è di 14,67 anni. Questi numeri indicano che la consapevolezza riguardo all’orientamento sessuale non è una questione esclusiva dell’età adulta, ma qualcosa che spesso si manifesta durante l’adolescenza o anche prima.
Il che evidenzia come una delle problematiche più gravi in questo senso sia l’assunzione predefinita dell’eterosessualità da parte della società. Dall’istante della nascita, si assegna e si presuppone un’identità di genere e un orientamento sessuale basati unicamente sull’aspetto fisico, in particolare sui genitali.
Questo crea un ambiente – non solo familiare – in cui lə bambinə LGBTQIA+ crescono con la sensazione di essere “diversə”, o addirittura “sbagliatə”, perché la società li costringe in una categoria nella quale non si riconoscono.
Il che può portare a conseguenze devastanti proprio sulla psiche di quellə bambinə che gli omofobi sostengono di “proteggere” con regolamenti anti-LGBTQIA+ sia dentro che fuori l’ambiente scolastico.
“Associations between LGBTQIA+-affirmative school climate and adolescent drinking behaviors” pubblicato in “Drug and Alcohol Dependence” esplora ad esempio come un ambiente scolastico ostile può correlare con comportamenti a rischio, incluso l’uso di alcool tra adolescenti LGBTQIA+.
“Family Rejection as a Predictor of Suicide Attempts and Substance Misuse Among Transgender and Gender Nonconforming Adults” esamina la correlazione tra rifiuto familiare e comportamenti a rischio in adultə transgender, ma offre anche spunti utili per comprendere gli effetti a lungo termine dell’omobitransfobia subita in età giovanile.
La soluzione è ascoltare
Cosa possiamo fare per cambiare questo status quo? La risposta potrebbe essere più semplice di quanto pensiamo: ascoltare.
Ascoltare i bambini e i giovani quando parlano della loro identità, senza pregiudizi o aspettative, guidandolə in maniera sana e amorevole nel percorso verso la scoperta di sè.
L’età non dovrebbe essere un fattore che invalida o delegittima l’identità di una persona, anzi!
Il concetto di “troppo giovane per essere gay” è non solo errato, ma dannoso. È ora di abbracciare un nuovo paradigma, che rispetti e accolga la diversità in tutte le sue forme e in qualsiasi momento essa si manifesti.
Non sono mai stato LGBTQIA+ Tuttavia, all'età di 12-13 anni circa, ho cominciato a sospettare che mi piacesse il cazzo.