Le fotografie di Andrés Serrano non sono spesso di facile digestione, perché facili non sono le questioni con cui ci spinge a confrontarci. Senza mai dimenticarsi della dimensione di hic et nunc dell’uomo fatta di carne, sangue e materia, Andrés Serrano diventa dispensatore di emozioni frammiste e contraddittorie dettate dalla controversialità dei soggetti scelti e da ciò che la loro immagine può suscitare. Fra gli altri, si contano simboli religiosi, fluidi corporei, senzatetto, componenti del Ku Klux Klan… Dopotutto, come egli stesso affermò in varie interviste, ciò che scatta è ciò che vede.
Gli elementi che più degli altri caratterizzano le sue opere sono i bodily fluids, i fluidi corporei. Quindi, il sangue, il piss (piscio), il latte, lo sperma… diventano materia prima per il suo obiettivo. L’aspetto importante di questa scelta sta nel valore che egli dà a queste sostanze comunemente associate alla repulsione, al disgusto o all’imbarazzo.
Attraverso le sue opere, le spoglia della loro ignobile reputazione per elevarle ad elementi caratterizzanti della condizione umana – ciò che ci rendono esseri terreni – e per questo dotati di straordinaria bellezza. Non sono mai, infatti, il sangue o il piscio in quanto tali a fare da protagonisti, ma i modi in cui la loro consistenza e la loro apparenza si prestano alla luce e al colore, in un processo che eleva allo stesso tempo il loro creatore: l’essere umano.
Educato al Cattolicesimo sin da bambino, presto si rese conto di come la Chiesa agisse e operasse per esclusione e non per inclusione. Egli stesso la definì oppressiva – un’istituzione che faceva minimi se non assenti sforzi nel trattare la questione delle donne, dei neri, delle donne e uomini omosessuali o delle minoranze – insomma, tutti coloro che in un qualche modo minavano la loro agenda. Fu per questo che vi si allontanò, senza tuttavia abbandonare il proprio credo: ancora oggi, infatti, si definisce cristiano.
Ciò a cui rimase molto legato, tuttavia, fu il simbolismo ad essa associato, tanto da definire ossessivo questo suo interesse per la loro estetica. Non ci stupisce, dunque, che uno dei suoi primi lavori sia un connubio tra simbolismo religioso e umana condizione: Blood Cross del 1985.
Per creare questo scatto, Andrés Serrano riempì di sangue una tanica a forma di croce fino a farla traboccare. Monumentale e inquietante, l’opera si pone come riferimento all’ossessione della Chiesa per il corpo e il sangue di Cristo – un’enfasi biblica che si scontra con il loro stesso bisogno di reprimere e negare la natura fisica che entrambi implicano. D’altro canto, il sangue non cela nemmeno un legame con la fisicità del sacrificio di Cristo in croce.
Lo stesso anno, il fotografo americano porta la sua personale esplorazione fotografica ad un livello più alto: riducendo i fluidi corporei a campiture di colore piane e astratte, eleva sangue, piscio, sperma e latte a livelli estetici fino ad allora quasi del tutto inesplorati.
In Milk/Blood del 1985, le superfici piane delle due taniche contenenti i due liquidi si trasformano in monocromi evocativi dell’espressionismo astratto alla Barnett Newman. Le due fotografie poste in apertura dell’articolo – Piss e Blood del 1987 – seguono lo stesso processo di transizione.
Se non fosse per i titoli delle fotografie, gli elementi raffigurati non sveglierebbero in noi emozioni contrastanti. Ed è in questo senso che l’artista lavora: sovvertire il senso di disgusto che tali aspetti del nostro corpo suscitano attraverso la bellezza visiva del risultato estetico ottenuto.
A tale proposito, Marcia Tucker – fondatrice del New Museum of Contemprary Art di New York – disse che queste sue opere rappresentano al meglio quest’incapacità di scendere a patti con la nostra umanità. Sant’Agostino d’Ippona formulò l’espressione “Inter fæces et urinam nascimur” (“Siamo nati tra le feci e l’urina) per ammonire il genere umano della loro condizione di peccato – una condizione resa concreta dalla vicinanza tra gli organi riproduttivo e di escrezione. Personalmente, vedo molto dell’influenza occidental-cattolica in questo senso di repulsione per la corporalità.
E’ a causa del rapporto tra corpo e spirito che una delle sue fotografie divenne l’epicentro di dibattiti e controversie ancora oggi inconclusi. Intitolato Piss Christ e facente parte della serie Immersions (“Immersioni”), lo scatto in questione scatenò l’ira di molte istituzioni religiose che videro nell’opera un’infamante dissacrazione della figura di Cristo. Tuttavia, come spesso accade, la verità è ben altra.
Come dicevamo, Andrés Serrano è credente e al contempo incompatibile con molti degli aspetti predicati dalla Chiesa (una distinzione – quella di Chiesa-Dio – che non si sottolinea mai abbastanza).
L’opera in questione è da interpretare come il frutto del percorso attraverso il quale ha raggiunto un punto di contatto con il suo credo. L’atto di immergere la statuetta di legno e plastica del Cristo in croce in una tanica del proprio piscio non era, infatti, un attacco, ma un modo personale di elevare la figura di Cristo secondo i precetti del suo credo artistico. Che sì, comporta l’uso dell’urina. Ricordiamoci, infatti, come egli spogli i fluidi corporei della loro ripugnanza.
Tenendo a mente questo aspetto, l’opera non diventa più sacrilega, ma celebrativa: sono la stessa consistenza e il colore del liquido a diventare convettori di valori trascendentali. In altre parole, si tratta della totale immersione del divino nell’umano.
Se una critica viene mossa da Andrés Serrano verso la sfera religiosa, questa non è rivolta a Dio, ma ai suoi seguaci. Lui stesso sottolineò come sia deplorevole il degradamento a cui ogni giorno la Chiesa e i suoi fedeli sottopongono la parola di Dio per giustificare i propri pregiudizi e perseguire i propri fini, arrivando a definire la macchina ecclesiastica “un’industria da miliardi di dollari del Cristo a scopo di lucro”.
Il dissenso verso quest’opera portò rispettivamente un gruppo di neo-nazi nel 2007 in Svezia e un altro di fondamentalisti cristiani nel 2011 ad Avignone, a distruggere Piss Christ con martelli e oggetti affilati.
Sebbene questa sia la fotografia più celebre grazie alle insurrezioni che generò, la serie consta di altri scatti e di altri liquidi. In Female Bust del 1988 è l’idea classica di bellezza a sposarsi con la lucentezza e il colore dell’urina, mentre è la questione della razza – essendo lui stesso di origini latine – ad essere sollevata negli scatti di Black Supper, dove immerse statuette dipinte di nero in una tanica di acqua.
Successivamente, Andrés Serrano iniziò a dedicarsi sempre di più agli uomini e alle comunità americane che lo circondavano, prediligendo quelle emarginate. Dopo aver dedicato una serie intitolata Nomads ai senzatetto newyorchesi, l’artista decise di immortalare alcuni componenti del Ku Klux Klan. L’investigazione, in questo caso, consiste nel potere evocativo che un travestimento può generare – una commutazione tra uomo e simbolo (in questo caso di estremo razzismo e pregiudizio) tanto potente da annullare l’umanità che le tuniche e i cappelli conici dissimulano.
Il rapporto tra uomo e violenza lo spinse a immortalare una serie di pistole in Objects of Desire, perché spesso concepite come simbolo concreto del potere maschile, per poi portarsi verso una delle conseguenze primarie dell’uso delle armi: la morte.
Nella serie The Morgue (Cause of Death) (“Obitorio, Causa di Morte”) del 1992, Andrés Serrano trasformò un obitorio (rimasto ignoto) nel suo set fotografico. L’unica condizione a cui dovette sottostare fu quella di lasciare i defunti anonimi, optando quindi per scelte artistiche che li lasciassero irriconoscibili.
L’uso del colore e il gioco di contrasti tra soggetto e sfondo è riminescente dell’arte di Caravaggio, da cui prese l’uso impeccabile della luce. Dando forma a fotografie intense e di grande potenza solenne, Andrés Serrano immortala la vita nella morte – il corpo inerme dopo che l’ultimo respiro è stato esalato, non cercando di darci risposte ma ponendoci domande immense che tutti almeno una volta abbiamo sfiorato.
Le fotografie di Andrés Serrano shoccano, sbalordiscono e ammaliano allo stesso tempo, portando gli osservatori ad intraprendere una messa in discussione viscerale di ciò che ritengono accettabile e indegno. Usando l’arte per esplorare i propri legami spirituali e le costruzioni culturali che sin da piccolo l’hanno accompagnato, il fotografo statunitense ci spinge a fare lo stesso: la morte stessa in The Morgue, l’estremo pregiudizio razziale in The Klan, la considerazione negativa delle funzioni naturali del nostro corpo in Immersions… tutte queste series fungono da pretesto per metterci nelle condizioni di intraprendere una ricerca interiore in cui siamo chiamati a scavare dentro noi stessi per trovare risposte a quelle domande esistenziali da cui tutti siamo toccati.
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Una volta tanto ci sono contenuti. Peccato che si risolva tutto in un esercizio di stile su un "artista" che fa cose viste e straviste.