DALLA PESTE AL SILENZIO

Torino, convegno sulle strategie di comunicazione anti-Aids per i giovani nei Paesi del Mediterraneo. Anticipiamo i risultati della ricerca. Ne esce un quadro sconfortante, soprattutto per l'Italia.

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Quali strategie di comunicazione per la prevenzione dell’Aids tra i giovani viene adottata nei Paesi Mediterranei? Questione scottante, se proprio i giovani, secondo gli ultimi dati, sono la fascia più a rischio, tanto che l’Aids sembra diventata la prima causa di morte e solo un giovane su due risulta consapevole del rischio legato a rapporti sessuali non protetti e alla possibilità di contrarre l’infezione da HIV/AIDS in seguito a rapporti eterosessuali. Il dato, che emerge da alcune ricerche nazionali (il II Rapporto sull’infanzia, la preadolescenza e l’adolescenza realizzato dell’Eurispes in collaborazione con Telefono Azzurro) e da studi su territori locali o nell’ambito delle scuole superiori, testimonia il calo della consapevolezza dei rischi connessi all’AIDS, soprattutto tra i più giovani. Dopo la grande attenzione che i mezzi d’informazione hanno dedicato all’AIDS negli anni Ottanta, peraltro spesso caratterizzata da allarmismo sociale, negli anni Novanta il livello di attenzione si è gradualmente allentato. Ciò proprio mentre i dati epidemiologici suggerivano che non era corretto, e produceva false sicurezze, insistere sul concetto di "categorie più a rischio" (i tossicodipendenti e gli omosessuali) poiché cresceva il numero di sieropositivi e malati tra gli eterosessuali e i più giovani. Dunque si evidenziava il problema semmai dei "comportamenti a rischio" rispetto a cui, pur in ritardo, è diventato ed è tuttora necessario indirizzare le campagne di prevenzione e le strategie di comunicazione.

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Fa il punto della situazione un convegno a Torino, il 1° dicembre al Centro Congressi Lingotto, intitolato eloquentemente "DALLA "PESTE" AL SILENZIO?". E’ una Conferenza Internazionale sulle Strategie di Comunicazione per la Prevenzione dell’Aids tra i Giovani dell’Europa Mediterranea organizzata da PAMMY (Prevention of Aids through Mass media among Mediterranean Youth) il cui progetto di ricerca ha raccolto i materiali cartacei, audiovisivi e multimediali sull’Aids rivolti ai giovani tra gli 11 e i 20 anni, per operare un confronto e verificare se esistono linee di tendenza comuni o specificità operative in materia di prevenzione dell’Aids tra i giovani di Italia, Francia, Grecia, Spagna, Portogallo e Marocco. PAMMY è un progetto ideato dal Gruppo Abele di Torino e cofinanziato dalla Commissione dell’Unione Europea, cui hanno aderito e partecipato enti e associazioni dei Paesi studiati.

I risultati, che qui anticipiamo, non sono confortanti: scarsa capacità di penetrazione, uso di linguaggi troppo tradizionali, scarso utilizzo dei media non convenzionali, incapacità di rivolgersi a un target specifico come quello giovanile, la zavorra della cultura cattolica, i tabù sessuali ancora presenti in molti paesi dipingono un quadro dalle molte zone d’ombra. Ovvero: per informare i giovani, sembra più quel che c’è da fare che quello che è stato fatto.

^SQUALE CULTURA?^s Un primo dato che si impone è la mancanza, nei diversi paesi di un’adeguata cultura della documentazione. Non esiste, ad esempio, presso i Ministeri della Sanità dei paesi partner della ricerca, una banca dati centrale che raccolga i materiali utilizzati all’interno delle diverse campagne. Questa lacuna è solo in parte colmata dall’attività di archiviazione svolta dalle associazioni (ad es, l’ALCS in Marocco) o dai consorzi che si sono occupati di produrre le campagne stesse (come Pubblicità Progresso in Italia). L’effetto è l’estrema difficoltà nel reperimento dei materiali e l’impossibilità di ricostruire con precisione l’intero scenario di comunicazione preventiva. Questo dato è di estrema importanza perché senza una adeguata documentazione è anche impossibile la valutazione. Come si può stabilire se una campagna di informazione ha colpito il suo target o ha raggiunto gli obiettivi, se non si dispone materialmente della possibilità di sottoporla a valutazione?

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L’assenza di ricerche sulla qualità dei messaggi delle campagne o sulla loro ricezione da parte del pubblico (PAMMY è il primo lavoro di analisi che cerchi di mettere in relazione virtuosa documentazione e valutazione in questo senso) conferma il dato e suggerisce che forse non è solo la cultura della documentazione a mancare, ma anche una adeguata cultura della valutazione, ovvero la consapevolezza delle scelte comunicative fatte in ordine ai risultati che si intendono raggiungere, e della possibilità di "aggiustare il tiro" nella campagna successiva se nella precedente non si è andati a bersaglio. Questione non da poco. Come dire: non si sanno valutare né documentare le campagne anti-Aids approntate.

Seconda questione: in tutti i paesi coinvolti nella ricerca sono i soggetti istituzionali a promuovere l’informazione, direttamente o indirettamente. Questi soggetti, tranne che nel caso del Marocco per il quale le fonti di finanziamento istituzionale sono in larga percentuale di provenienza internazionale, sono i ministeri nazionali della sanità e dell’educazione. Effetto di questa preponderanza, secondo le conclusione tratte da PAMMY, è che in tutti i paesi monitorati l’uso della carta stampata per le campagne informative è doppio rispetto all’uso di audiovisivi. Perché? Costa meno, indubbiamente. Ma una valutazione corretta dovrebbe mettere in relazione la scelta del mezzo di comunicazione con la sua capacità di raggiungere il target prefissato. C’è infatti uno scarso ricorso alle fanzines e alle nuove tecnologie (siti internet), canali comunicativi per definizione "giovanili". La grande preponderanza della comunicazione su scala nazionale rispetto a quella locale privilegia i media a stampa e gli spot televisivi. Perché invece non affidarsi a creativi particolarmente originali e "non convenzionali", e favorire contemporaneamente la localizzazione dei messaggi nel territorio in relazione con le subculture di riferimento, i comportamenti, gli usi? Se è vero che l’AIDS è una "malattia sociale", fortemente connotata dalle culture entro cui se ne ha percezione, andranno allora moltiplicati gli sforzi per rendere queste culture permeabili ai messaggi di prevenzione, com’è accaduto in Marocco dove sono state prodotte audiocassette in dialetto arabo destinate alla popolazione analfabeta.

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^SLA ZAVORRA CATTOLICA.^s Analizzando le strategie di comunicazione paese per paese, emerge subito un dato che ci riguarda. In Italia legare la prevenzione dell’Aids all’uso del profilattico fa sorgere problemi a causa della cultura ancora in larga parte cattolica e, soprattutto, della vicinanza della curia romana. Le resistenze cattoliche verso il preservativo rende difficilissimo parlarne come mezzo efficace per prevenire l’Aids.. Il Papa più volte ne ha condannato la diffusione e ha invitato i farmacisti cattolici a fare obiezione di coscienza. Ma paesi come la Spagna e il Portogallo, pur condividendo lo stesso tipo di cultura, si dimostrano più liberi nelle scelte di rappresentazione e nelle strategie comunicative. E in Grecia, la Chiesa Ortodossa ha fin dall’inizio aiutato i malati di Aids, producendo anche materiali informativi negli anni delle prime campagne nazionali, pur non approvando le relazioni prematrimoniali. Il suo ruolo è evidente soprattutto negli ospedali e nelle prigioni.

^SGUAI AI GIOVANI.^s In Italia, la prevenzione e l’informazione appaiono compito istituzionale dello Stato. I prodotti audiovisivi hanno una vocazione alla comunicazione diffusa sul territorio nazionale, mentre il cartaceo è viceversa più presente sul locale che sul nazionale. Ma balza agli occhi la scarsità di articoli sulle riviste giovanili. Solo undici sono gli articoli inviati dalla Mondadori in riferimento a due riviste diffuse tra i più giovani quali "Yes Cento cose" e "Tutto Musica". Praticamente, meno di un articolo all’anno da quando il fenomeno Aids è divenuto di pubblico dominio. Un po’ meglio per una rivista più di nicchia come "Dimensioni nuove", di un’editrice cattolica, con 18 articoli. Perché così scarso interesse da parte di chi ha un target di lettori giovanili? Pudore, ignoranza o disinteresse?

La presenza dei giovani come interlocutori diretti, anche in trasmissioni rivolte a loro, appare un dato rilevante solo nella seconda metà degli anni ’90. Pur riferiti a un pubblico giovanile, in molti documenti, sia cartacei che audiovisivi, spesso gli adulti appaiono, intervengono o commentano, ricoprendo un ruolo di testimonial di riferimento o di esperti autorevoli. Ma tale presenza rassicura o indispone il potenziale spettatore adolescente?

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^SPRESERVATIVO, FACCIAMOLO VEDERE.^s In Italia, il preservativo è l’oggetto più ricorrente, riscontrabile quasi nella metà dei testi analizzati, nonostante le polemiche sul suo uso e certe resistenze nell’ambito cattolico. Eppure insistere sul preservativo non significa renderlo visibile: nelle campagne anti-Aids è spesso citato solo verbalmente negli audiovisivi e stilizzato graficamente nei documenti cartacei o nei testi multimediali. Quindi, la comunicazione si affida alla parola scritta, alla didascalia o al commento sonoro. Non solo: i picchi dell’informazione, soprattutto televisiva, si hanno in occasione della ricorrenza della Giornata mondiale sull’Aids del 1 dicembre, mentre lungo il corso dell’anno l’attenzione cala notevolmente. Segnale di un calo d’interesse sul tema?

^SEDUCAZIONE SESSUALE, UN MIRAGGIO.^s Quali linguaggi per i giovani? Dopo l’emblematico caso del booklet di Lupo Alberto, stampato dal Ministero della Sanità e poi bloccato dal Ministro prima della diffusione nelle scuole perché ritenuto troppo esplicito nell’informare gli adolescenti sui meccanismi di infezione e sui metodi di prevenzione dell’Aids, le recenti tendenze sembrano privilegiare un approccio più diretto. Ma l’educazione sessuale resta una chimera. La scuola italiana, a differenza di quella portoghese e greca, non ha programmi coordinati e strutturati di educazione sessuale, preferendo l’attivazione di interventi specifici, spesso affidati a consulenti esterni, con un approccio tendenzialmente medico – sanitario, con minore attenzione sul piano comportamentale e psicologico. In Grecia invece, negli ultimi anni l’educazione sessuale è entrata nelle scuole. Spesso si utilizzano tecniche di gioco. Altre volte si tenta di formare degli studenti perché siano loro ad informare i coetanei in relazione a proposito delle modalità di trasmissione dell’Aids, dell’uso del preservativo e così via. Il Ministero della Sanità greco programma regolarmente campagne informative sulla salute, con particolare attenzione verso i più giovani. In relazione all’Aids, volantini e depliant sono distribuiti nei punti di ritrovo dei giovani e nelle scuole. I test medici gratuiti sono a disposizione di tutti. In Italia, dalla scuola ai gruppi associativi, la prevenzione dell’Aids presso i più giovani si basa su interventi informativi che non producono direttamente materiali documentabili, ma si strutturano sulla comunicazione orale o sulla produzione di schede, volantini e depliant specifici, che spesso non vengono conservati o archiviati.

Il convegno di Torino mette dunque sul tavolo importanti problematiche da tenere presenti per il futuro: una prima indicazione che il progetto PAMMY può fornire ai policy makers e ai decisori delle agenzie istituzionali e delle Organizzazioni Non Governative coinvolte nelle campagne di comunicazione preventiva, è quello di dotarsi (o di favorire l’istituzione) di un osservatorio in grado di monitorare le campagne sia dal punto di vista delle strategie comunicative utilizzate (analisi dei messaggi) che da quello (non preso in considerazione dal progetto PAMMY) della ricezione da parte dei destinatari.

INFORMAZIONI:

La conferenza si terrà presso il Centro Congressi Lingotto, via Nizza 280, 10126 Torino. Per ulteriori informazioni: www.lingottofiere.it

Per informazioni su alberghi e hotel: www.turismotorino.org

PROGRAMMA DEL CONVEGNO – clicca qui

di David Fiesoli

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