Nella giornata di ieri l’autobiografia di Barack Obama, Una Terra Promessa, è uscita in tutte le librerie del mondo. Uno dei libri più attesi dell’anno, visti gli strepitosi numeri fatti precedentemente segnare dall’autobiografia della moglie Michelle, con tanto di inattesa confessione venuta alla luce.
L’ex presidente degli Stati Uniti d’America, da sempre al fianco della comunità LGBT, ha infatti dolorosamente ammesso di aver utilizzato il termine ‘fr*cio’, da adolescente, e di provare ‘profonda vergogna’.
Nel libro, Obama parla con coraggio delle limitate opinioni che aveva nei confronti delle persone LGBT + prima che entrasse in politica, ammettendo candidamente che i suoi “atteggiamenti verso i gay, le lesbiche e le persone transgender non sono sempre stati particolarmente illuminati“.
Sono cresciuto negli anni ’70, un tempo in cui la vita LGBTQ era molto meno visibile a chi era al di fuori della comunità. Così mia zia Arlene si sentiva obbligata a presentare la sua storica compagna, che aveva da 20 anni, come “la mia cara amica Marge”, ogni volta che veniva a trovarci alle Hawaii. E come molti ragazzi adolescenti in quegli anni, i miei amici e io a volte ci scambiavamo parole come ‘fr*cio’ o ‘gay’, in modo denigrante, tentativi insignificanti di fortificare la nostra mascolinità e nascondere le nostre insicurezze. Una volta che sono andato al college e sono diventato amico di altri studenti e professori che erano apertamente gay, però, mi sono reso conto dell’aperta discriminazione e dell’odio a cui erano soggetti, così come della solitudine e dei dubbi che la cultura dominante imponeva loro. Mi sono vergognato del mio comportamento passato e ho imparato a fare meglio.
Obama ha attribuito alle amicizie e alle storie che ha sentito direttamente dalle persone LGBTQ frequentate durante il college e all’inizio della sua carriera l’avergli “aperto il cuore alla dimensione umana delle questioni, a cui un tempo pensavo in termini principalmente astratti“.
Ovviamente, Obama ha poi messo in pratica le sue evolute convinzioni come presidente, abrogando il divieto ai soldati apertamente gay nell’esercito degli Stati Uniti, usando i poteri esecutivi per far rispettare le protezioni LGBT + contro la non discriminazione per gli appaltatori federali, approvando una legge federale sui crimini d’odio in ricordo dell’adolescente Matthew Shepard, e infine nominando due giudici pro-LGBT + di quella Corte Suprema che ha poi approvato l’uguaglianza matrimoniale. Ogni anno di presidenza, tutti i mesi di giugno, Obama ha celebrato il Pride Month, tingendo la Casa Bianca di rainbow.
Accanto all’aborto, alle armi e praticamente a qualsiasi cosa abbia a che fare con il colore della pelle, le questioni dei diritti LGBTQ e dell’immigrazione hanno occupato per decenni il centro della scena nelle guerre culturali americane, in parte perché hanno sollevato la questione più fondamentale nella nostra democrazia, vale a dire chi consideriamo un vero membro della famiglia americana, meritevole degli stessi diritti, rispetto e sollecitudine che ci aspettiamo per noi stessi? Ho creduto nella definizione di quella famiglia in senso lato, che includeva sia i gay che gli etero, e includeva le famiglie di immigrati che avevano messo radici e cresciuto i bambini qui, anche se non erano entrati dalla porta principale. Come potevo credere altrimenti, quando alcuni degli stessi argomenti per la loro esclusione erano stati così spesso usati per escludere coloro che mi somigliavano?
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