Con il film di Barbie è alle porte, oggi tuttə possiamo essere Barbie.
La bambola più iconica del mondo si apre a nuove forme e soggettività, superando gli stereotipi di bellezza. Come nel caso di Barbara Millicent Roberts, prima Barbie con Sindrome di Down, disponibile dal 25 Aprile in tutto il mondo: niente gambe chilometriche, abito a fiori, e una collana rosa al collo che rappresenta le tre punte del 21esimo cromosoma.
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A promuoverla c’è l’influencer olandese e ambassador nei Paesi Bassi, Enya (@Downsyndrome_Queen) – nel 2021 anche modella per la copertina di Glamour – che scrive: “È così importante che i bambini e le bambine diventino più consapevoli dell’importanza della diversità e dell’inclusione, a dimostrazione che non esiste una sola immagine ideale. Che tu, io e tutti possiamo essere accettati, che siamo tutti belli e che la sindrome di Down fa parte di noi, della società e del mondo”.
Un prodotto nato in collaborazione con la National Down Syndrome Society (NDSS), organizzazione americana senza scopo di lucro finalizzata alla sensibilizzazione sull’argomento. Kandi Pickard, CEO dell’associazione, ribadisce che l’obiettivo è permettere a tuttə lə bambinə di giocare con una bambola che le assomigli, e un ulteriore invito a “non sottovalutare mai il potere della rappresentazione“.
Un altro step in avanti dall’azienda Mattel che continua a rinnovare ed evolvere l’immagine della sua star nata nel 1945, adattandola e integrandola sempre di più al mondo circostante e la sensibilità delle nuove generazioni: prima di Barbara Millicent Roberts, anche la bambola con le protesi, quella con un apparecchio acustico, quella in sedia a rotelle, una con la vitiligine della pelle, e nell’attesissimo film di Greta Gerwig, la modella e attrice Hari Nef interpreterà la prima Barbie dottoressa e transgender.
Come da copione, la notizia ha generato un’ondata di polemiche e critiche sul mondo dei social, definendola una “strumentalizzazione” che “tocca le vite di persone con problemi seri”. Ma come spiega l’attivista Valentina Tomirotti (parte anche del podcast Sexability, dedicato al benessere sessuale delle persone con disabilità) è solo l’ennesimo segnale di un abilismo radicato nella formamentis comune: perché una Barbie che esce fuori “i cliché della perfezione”, è “un passo avanti per la società tutta”.
“Non si riesce a capire che la necessità è di tipo identitaria, di rappresentazione. Avere un giocattolo che li faccia sentire rappresentati o dare ai bambini una nuova alternativa di narrazione, è un accrescimento culturale che tutti si meritano e che deve esistere perché è un valore che una società dovrebbe perseguire” spiega Tomirotti, concludendo: “Se non sei riconosciuta come persona, automaticamente il tuo status è di persona discriminata. Lo capiremo mai?”
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