Il mio angolo preferito su Instagram è il profilo di Hari Nef.
Se è vero che attraverso il nostro feed possiamo evocare un mondo fatto di influenze ed epoche incollocabili, l’Instagram di Hari Nef per me non ha tempo o spazio: è un film di David Lynch, un personaggio nella Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni, una febbre del sabato sera sotto le luci al neon del locale. Potrebbe essere il mio film preferito, una mostra d’arte contemporanea, o un sogno ad occhi aperti dove riposare la mente. Un angolo dove le persone queer possono essere rivoluzionarie semplicemente esistendo nel mondo e facendo quello che vogliono, senza il bisogno di alzare la voce o fornire ulteriori spiegazioni.
A soli 24 anni, Hari Nef è stata la prima modella transgender a firmare un contratto per IMG Models, tra le agenzie di moda più importanti in circolazione, e a finire sulla cover di British Elle. Dal 2017 in poi Nef è diventata uno dei volti principali per L’Oreal, American Vogue, Gucci, e mille altri brand che non sto qui ad elencarvi. In questi giorni potreste vederla tappezzata su un cartellone a ruote in giro per Milano come protagonista della collezione FW22 di JW Anderson.
Nel lookbook scattato da Jurgen Teller, Nef interpreta diversi personaggi e archetipi cinematografici, con reference a Carrie di Brian De Palma o il cartone animato Run Hany, coronando il sogno di collaborare con uno dei suoi più grandi punti di riferimento: “Ho sempre amato il suo lavoro, in particolare la collezione maschile autunno\inverno 2013″ racconta a Vogue: “La maniera in cui Jonathan mischiava elementi maschili e femminili ha toccato qualche corda dentro di me. Era ancora prima che la fluidità di genere diventasse un topic alle sfilate, e ha scosso il mio mondo fortemente. Ha cambiato interamente il mio sguardo verso la moda”.
In parallelo alla carriera da modella, Hari Nef è anche attrice: tra i piccoli grandi ruoli, nel 2015 ha recitato nella serie Transparent nel ruolo di Bex, nel 2018 si è unita al cast di Assassin Nation, è stata Blythe in YOU su Netflix. Nell’episodio 10 di And Just Like That, reboot 2022 di Sex And The City, interpreta Rabbi Jen, chiamata ad inaugurare il “they-mitzvah” del figlio non binary di Charlotte. Un ruolo che per Nef significa qualcosa di più: fan della serie da quando andava al liceo, una volta trasferita a New York Sex And The City diventò per lei “un asintoto, una guida su come essere una donna in città“. Nef si assorbe di personaggi femminili, li celebra nelle sue Instagram Stories – da Isabelle Huppert a Monica Vitti – rendendoli quasi dei totem preziosi dentro un’industria che sin dall’alba dei tempi è abituata a feticizzare il corpo di una donna, ancor più se transgender.
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“Se sono troppo glam, graziosa, e lucidata le persone mi chiedono: perché non parli mai di questioni importanti?” dichiarò in un’intervista per Vanity Fair nel 2018: “Se mi metto a parlare di questioni importanti mi chiedono: ma non potresti fare solo l’attrice?“. In un’epoca dove anche l’attivismo sembra essere valido solo se performato, Hari Nef preferisce mostrare più che dimostrare: “Di tutte le tematiche di cui le persone parlano e discutono [sull’identità di genere, rappresentazione trans, essere una donna trans nel mondo della moda e del cinema], voglio parlarne attraverso il mio lavoro, ed è l’unico contesto in cui continuerò a parlarne”.
Pur considerandosi una “cattiva attivista“, Nef è schietta e per nulla passiva davanti le ingiustizie che ha visto tra industria e società (tra le varie iniziative, ha collaborato insieme al National Centre for Trans Equality – la più grande organizzazione statunitense a difesa delle persone transgender – e partecipato ad un TED Talk sul ruolo della femminilità nell’identità transgender) , ma l’intera conversazione dei media mainstream sulla transessualità è per lei un “festival della noia e un vicolo cieco”.
La prima cosa che c’è scritta sulla mia pagina riguarda la mia identità.” ha dichiarato nel 2016 in un’intervista per The Guardian: “È qualcosa che odio. Non perché sia irrilevante, so che buona parte della mia esposizione sia dovuto anche a quello, ma voglio credere in molto di più. Non voglio che diventi chissà che cosa. La mia identità definirà sempre la mia esperienza e modellerà la mia percezione. Ma sono una persona come mille altre. Più ci fissiamo su questo argomento e meno, in quanto comunità ci sentiremo normali e al sicuro nella quotidianità di tutti i giorni. Ho solo voglia di ordinare da mangiare e, non so, andare ad un appuntamento.”
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