Alla Notte degli Oscar 2022, Jessica Chastain, oltre a denunciare le leggi anti-LGBTQ+ in USA, si è guadagnata il premio come Miglior Attrice, grazie alla sua mastodontica interpretazione nel film The Eyes of Tammy Faye, ispirato alla vita vera di una televangeliste più famose d’America, tra gli anni 70 e 80. Durante il suo discoro di ringraziamento, Chastain ha dichiarato di sentirsi ispirata dalla bontà incondizionata del suo personaggio, lanciando un messaggio di supporto e amore alla comunità LGBTQIA+. Ma oltre le ciglia finte, la voce stravagante, e i look orgogliosamente camp, chi era davvero Tammy Faye?
Tra il 1964 e il 1973 Tammy Faye Messner e suo marito Jim Bakker, divennero punto di riferimento per buona parte del pubblico cristiano d’America, cambiando la storia della televisione per più di tre decenni. Nel ’74 insieme fondano il PTL Club, show a sfondo religioso, che sapeva unire l’intrattenimento da classico talk show a valori tradizionalmente cristiani, come la famiglia e la chiesa. Ma nonostante l’impronta estremamente conservatrice, Tammy Faye si distingueva per una particolare empatia, un occhio curioso e aperto ad accogliere chiunque, al di là dell’estrazione sociale o la sessualità.
Nel 1985, al picco della sua carriera e con la massima visibilità, Faye invita al PTL Club come ospite Steve Pieters, pastore gay malato di AIDS, per parlare del rapporto tra fede, sessualità, e malattia. In un’annata dove la stigmatizzazione era alle stelle, Tammy Faye si commuoveva in diretta tv, su uno dei canali più omofobi e bigotti della rete statunitense: “Non importa quello che accade ad una persona giovane nella loro vita, rimangono sempre vostri figli e figlie” disse, mentre Pieters raccontava il suo coming out: “E penso sia fondamentale che noi in quanto madri e padri, li amiamo incondizionatamente“. Non è triste che in quanto cristiani – che dovremmo amare chiunque – siamo così spaventati di paziente malato di AIDS da non poterlo abbracciare e dirgli che ci teniamo?” chiedeva espressamente Faye ai telespettatori, mettendone in discussione le ipocrisie.
Negli anni successivi – anche in seguito alla frode finanziaria del marito e il successivo divorzio – Faye si espose sempre di più a supporto della comunità: tra il 1990 e i primi anni 2000, partecipò più volte Washington’s Capital Pride Festival, partecipò a numerose associazioni di beneficienza, attivandosi a favore delle unioni civili, e stringendo amicizia con icone queer come RuPaul: “Tutti devono essere chi sono” dichiarò ospite al The RuPaul Show: “Mi rivolgo ai più giovani, non permettete a nessuno di rendervi qualcosa che non siete“.
Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, Faye aveva i suoi detrattori, anche nella comunità queer, che definirono le sue posizioni “piene di limiti” e di sfruttare il pubblico gay per aumentare ulteriormente la propria popolarità: “Se prestate attenzioni non dice che va bene essere gay” disse di lei Randy Shulman, scrittore per Metro Weekly: “Dice ti perdono per essere gay, e quando morirai e uscirai di scena, ne parlerai con il tuo creatore”.
Anche durante la celebre intervista del 1985, Faye fece a Pietiers domande che oggi risulterebbero offensive e fuori luogo, come non averci “provato abbastanza” con le donne. Al contempo, Tammy Faye offriva al suo pubblico uno sguardo libero e accogliente nella vita di un giovane omosessuale americano, scomodando i dubbi più sciocchi dell’ambiente in modo da superarli: “Numerose persone mi dissero negli anni che quelle domande erano stupide e banali, ma per il pubblico erano domande lecite” dichiarò lo stesso Pieters.
Con tutti i limiti e controversie del caso, Faye dichiarava di avere una connessione con il pubblico gay, un’affinità che in qualche modo, riusciva a rassicurare entramb*: “Penso di avere molto in comune con la popolazione gay” dichiarò in un’intervista a South Florida Fun Sentinel nel 2002 “Anche loro sono stati umiliati, bistrattati e incompresi, e hanno passato una vita turbolenta. Loro si identificano con me, e naturalmente io mi identifico con quello che stanno passando”.
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