Christopher Isherwood, scrittore omosessuale e fiero: la sua storia raccontata dall’esperto Luca Scarlini

Isherwood è stato uno dei primi garanti dei Pride di San Francisco, non si è mai nascosto in un'epoca di matrimoni di copertura e ha avuto una relazione che destava scandalo.

christopher isherwood
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Christopher Isherwood è stato, indubbiamente, un autore imprescindibile non soltanto per il panorama LGBT, ma per tutto l’orizzonte letterario novecentesco: una costante ricerca realistica che mettesse in risalto le luci e le ombre della società del tempo, solo negli ultimi anni influenzata da un marcato misticismo, è la caratteristica che più lo ha reso celebre agli occhi dei contemporanei. Se a questo si aggiunge una condotta sopra le righe – per i canoni dell’epoca, ma in parte anche per i nostri – è facile capire il motivo di un fascino imperituro verso questa figura complessa e sfaccettata.

Non tutti sanno, ad esempio, che Christopher Isherwood ebbe una relazione con Don Bachardy, artista e ritrattista, di 31 anni più giovane: quando si conobbero nel 1953 Isherwood aveva 49 anni e Don 18. Il loro rapporto però, giudicato scandaloso dalle malelingue, durò fino alla morte dello scrittore nel 1986. Negli anni 70 erano delle vere e proprie star: ogni fotografo che si recava a Los Angeles voleva fotografarli, e loro di certo non si tiravano indietro. Pare che, per tutelare il proprio compagno, alla fine degli anni 70 Christopher adottò Bachardy. Esistono svariati documentari che raccontano la loro storia: uno di questi, realizzato da Guido Santi e Tina Mascara (Chris & Don: A Love Story), è uscito nel 2007.

Christopher Isherwood e Don Bachardy poco dopo il loro primo incontro.
Christopher Isherwood e Don Bachardy poco dopo il loro primo incontro.
Christopher Isherwood e Don Bachardy, in una foto scattata poco prima della morte dello scrittore.
Christopher Isherwood e Don Bachardy, in una foto scattata poco prima della morte dello scrittore.

Non solo grandi trasposizioni cinematografiche – l’ultima in ordine di tempo quella portata sul grande schermo nel 2009 da Tom Ford, A Single Man – ma un interesse costante verso la sua arte e la sua vita, come testimoniano i tanti incontri organizzati quest’anno in occasione del trentennale dalla sua scomparsa.

Questa sera al Teatro Franco Parenti di Milano andrà in scena Soirée Isherwood, una delicata conversazione tra Mario Fortunato e Luca Scarlini, accompagnati dalle letture di Sax Nicosia. E proprio con i partecipanti a uno di questi incontri, Luca Scarlini, ho voluto fare due chiacchiere.

Possiamo dire che lei, in Italia, è una delle figure più esperte di Isherwood? 

La ringrazio, ma purtroppo è vero solo in parte: l’esperto, nell’incontro di questa sera, sarà Mario Fortunato, che di Isherwood scrive fin dagli anni ’80 e fa parte della The Christopher Isherwood Foundation a Santa Monica. Io mi sono prevalentemente occupato del periodo berlinese dell’artista e della parte meno nota che concerne l’induismo. Negli Stati Uniti Isherwood si è avvicinato molto a questa religione, con una serie di pubblicazioni fondamentali che purtroppo qui in Italia non sono mai state tradotte.

L’intento, quindi, è quello di far conoscere un aspetto meno in luce della sua personalità?

Il nostro fine è quello di fornire un ritratto di questo scrittore che tenga conto di tutte le sue attività. In Italia è arrivata solo una parte del lavoro che ha realizzato. Ci siamo concentrati soprattutto sul periodo in cui arriva a Berlino, nel 1929, dove di fatto trova se stesso superando le problematiche connesse all’omosessualità che la società inglese gli aveva provocato. Troverà la propria letteratura, uno stile moderno riassunto nel motto I am a camera (Sono una macchina fotografica) fatto di un realismo estremamente oggettivo, oserei dire clinico, in cui si parla anche di Berlino come grande Sodoma e Gomorra dell’occidente. La capitale tedesca, all’epoca, era sì una meta libertina legata al sesso, ma anche un punto di riferimento per tutte le forme d’arte. Una cosa che mi ha sempre colpito è il fatto che Isherwood arrivò a Berlino negli stessi giorni in cui ci arrivò Pirandello, che vi andò per le regie di teatro che trovava molto più moderne di quelle italiane. Qui si ritrovano tutti perché è la città del momento: l’economia è un disastro ma le possibilità sono tantissime.

Qual è il senso di questo incontro? Tenere accesa l’attenzione sull’opera di uno scrittore che spesso viene dimenticato o affrontare nuovi aspetti poco conosciuti? 

A mio parere tutti e due: di norma quando si pensa di conoscere qualcosa, finisce sempre che una parte venga persa. Di Isherwood se ne è riparlato pochi anni fa in occasione dell’uscita del film di Tom Ford, ma purtroppo era da tempo caduto nell’ombra. Con il Teatro Franco Parenti e con Adelphi ci è venuta l’idea di raccontare uno scrittore sicuramente importante, disegnandone il profilo e spiegando quanto tra Inghilterra e Stati Uniti questa figura sia stata fondamentale, nel tentativo di mettere in luce il ruolo che ha assunto cercando di rappresentare una diversa sfaccettatura della sessualità. Isherwood è stato uno dei primi garanti dei Pride di San Francisco, non si è mai nascosto in un’epoca di matrimoni di copertura: per lui, la sua vita, è stata parte di quella camera oggettiva di cui si faceva portatore come intellettuale e scrittore. Fuori da Berlino per gli omosessuali era davvero una tragedia. Sono tutti aspetti più o meno conosciuti di cui bisogna tenere conto.

A proposito di quello che di Isherwood è stato trasposto sul grande schermo, penso a A single man ma anche a Cabaret. In che ottica tutto questo viene visto da chi, come lei, conosce così a fondo la figura dello scrittore? Sono trasposizioni che riflettono il suo spirito, o sono eccessivamente filtrate dalla prospettiva del regista? 

Naturalmente questi percorsi cinematografici sono legati agli artisti che li interpretano: con l’opera originale hanno una relazione tanto forte quanto discontinua. Il film di Tom Ford ha di sicuro la disperazione terribile del romanzo di Isherwood, per altri aspetti è però molto più estetico: il personaggio della migliore amica nel romanzo è una donna sciatta, britannica, sovrappeso, mentre nel film è Julian Moore, letteralmente una dea greca giunonica. Un po’ troppo. Però è anche vero che l’inquietudine di queste vicende metropolitane è palpabile.

Un’ultima domanda provocatoria: al di là del tema dell’omosessualità, c’è secondo lei uno scrittore/scrittrice contemporaneo che presenta caratteri comuni a Isherwood? A livello di tematiche, di rappresentazione della realtà, di simbolo…

Io penserei più in generale al mondo queer, e in particolare a Beatriz Preciado, che ora ha deciso di cambiare sesso non facendo l’operazione ma acquisendo il nome di Paul. Non è uno scrittore, è sicuramente un filosofo, ma ci sono alcuni suoi racconti dei bassifondi parigini che ricordano indubbiamente qualcosa di Isherwood.

Qui tutte le info sull’incontro di questa sera al Teatro Franco Parenti di Milano > > >

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