UN TASSISTA MOLTO BOON

Il simpatico e piacente attore comico Dany Boon è la rivelazione della commedia più che graziosa ‘Il mio migliore amico’ in cui interpreta un tassista ciarliero e ingenuotto appassionato di quiz.

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Avevamo molti pregiudizi nei confronti della commedia francese Il mio miglior amico di Patrice Leconte. Il dubbio ci aveva assalito: non sarà il solito filmetto francese un po’ snob e inconsistente, che trasuda lusso e noia, dimenticabile al primo sbatter di palpebre? Tutt’altro. Andatelo a vedere: vi meraviglierà piacevolmente, questo limpido trattato sull’importanza dell’amicizia (e non solo: del rispetto, della generosità, della complicità virile), reso alquanto vitale da una strepitosa coppia di personaggi, un antiquario venale e un tassista un po’ ingenuotto, all’apparenza incongrui e incompatibili ma in realtà capaci di illuminare lo schermo in scatenati duetti al calor bianco.
Li incarnano, con precisa e ispirata aderenza, il sempre più bravo Daniel Auteuil in un’interpretazione molto calibrata e ricca di sottotoni, e la rivelazione Dany Boon, nome d’arte di Daniel Hamidou, incisivo comico francese rodatosi nei café théâtres con monologhi di successo e lanciato in patria da film di cassetta come Joyeux Noël e La Doublure (era anche in Pédale dure, inedito da noi, seguito del supergay Di giorno e di notte). Noto alle cronache mondane transalpine soprattutto come ex marito dell’avvenente Judith Godrèche, il talentuoso Boon è un piacente orsetto dal volto simpatico, vistose orecchie a sventola e uno sguardo dolce e comprensivo.

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È lui la rivelazione de Il mio miglior amico, ultima fatica lecontiana vincitrice del premio del pubblico al festival di Toronto. E dire che lo spunto iniziale è poco più di un pretesto: per una scommessa fatta con la socia lesbica Catherine, l’antipatico François deve presentarle entro dieci giorni il suo migliore amico. In palio c’è un costoso vaso ellenico lacrimatorio del quinto secolo avanti Cristo che François ha acquistato avventatamente a un’asta coi soldi della galleria in comproprietà con Catherine al cinquanta per cento. Ovviamente François non ha un amico che sia uno ed è costretto ad affannose peregrinazioni per tutta Parigi a caccia di colleghi o ex compagni di scuola che possano dimostrare il contrario. Quando si imbatte nell’espansivo e ciarliero Bruno, tassista appassionato di quiz e curiosità alla ‘Trivial Pursuit’, si rende conto che, nonostante le differenze, potrebbe essere un amico perfetto anche perché sembra davvero legarsi a lui concedendogli vari favori in maniera molto servizievole.
Molti e mai banali gli accenni gay: non solo la femminile Catherine…
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Molti e mai banali gli accenni gay: non solo la femminile Catherine (Julie Gayet, assai raffinata) è lesbica e fidanzata stabilmente – si intravede anche a letto con la compagna – ma il profondo rapporto tra i due maschi sembra sempre sul crinale della svolta esplicitamente omo soprattutto quando Bruno dorme a casa di François e al mattino prepara amorevole la colazione alla figlia dell’amico come un compagno davvero fedele. E quando entrambi si ritrovano davanti al prezioso vaso a rievocare l’amicizia uranista dei guerrieri achei Achille e Patroclo, tutto fa pensare che stia sbocciando un vero e proprio amore anche se probabilmente non carnale. È molto significativo, poi, il fatto che nel film tutte le relazioni eterosessuali siano deludenti o poco appaganti: l’amante di François è poco più di una meteora nella sua vita e l’antiquario non dimostra il minimo interesse nei suoi confronti; la moglie di Bruno l’ha invece addirittura lasciato per il suo migliore amico causandogli un trauma da cui non si è ancora ripreso.

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Il regista Patrice Leconte, che firma anche l’adattamento e la buona sceneggiatura insieme a Jerôme Tonnerre da una storia originale di Olivier Dazat, è inoltre molto abile nel descrivere il poco noto mondo dei mercanti d’arte esperti in acquisti veloci a prezzi vertiginosi, tra boiseries intagliate e appartamenti-magazzino dove viene accastato di tutto e spesso vi prende corpo l’attaccamento quasi morboso dei collezionisti nei confronti dei pezzi più rari. E azzecca anche una grande scena di critica sociale nell’esilarante invito a cena dai genitori di Bruno, quando mette a confronto l’algida borghesia medioalta col proletariato affettuoso dal gusto discutibile, situazione emblematica in cui l’improbabile acquisto di un tavolaccio decò ripone l’accento sull’interrogativo di fondo: al giorno d’oggi si può comprare davvero tutto, anche la stima e l’amicizia? Una commedia più che graziosa quanto mai attuale, te(r)sa e ritmata, senza fronzoli o compiacimenti superflui.
Controindicazione: da non vedere in solitudine.
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