A Torino in queste settimane si stanno concentrando numerosi casi di omofobia: ancor più gravi perché a discapito delle vite quotidiane dei cittadini onesti, che pagano l’affitto e le tasse. Dopo il caso del “condominio antigay” di via Paravia 14 (ne abbiamo parlato abbondantemente, qui tutti gli articoli a riguardo) questa volte le vittime sono due ragazze lesbiche, che chiameremo in modo fittizio per tutelare la loro privacy.
Anna e Chiara si sono presentate allo sportello dell’Atc (Agenzia Territoriale per la Casa) per chiedere l’assegnazione di una casa popolare: sicure, questa volta, di vedere riconosciuto il loro diritto in modo imprescindibile, vista l’approvazione della legge sulle unioni civili. Si erano infatti già recate nei mesi precedenti per depositare la richiesta, ma avevano incontrato le scuse e i rimandi di un impiegato omofobo che ne trovava di volta in volta una nuova per rimandarle a casa: “non posso accettare la domanda, non saprei come farvi compilare il modulo visto che non siete una coppia etero“, per esempio. Questa volta no: forti del nuovo provvedimento, le ragazze erano sicure di riuscire a depositare la domanda. Anna è divorziata, disoccupata e con un figlio a carico e vorrebbe iniziare a costruirsi una nuova vita con Chiara: l’ottenimento di una casa popolare sarebbe fondamentale.
Persino di fronte alla legge l’impiegato, dopo essersi definito “cristiano e etero convinto”, non ne vuole sapere e sbotta: “Non posso accettarla, faccio obiezione di coscienza“. Un’obiezione di coscienza che non è prevista dal decreto, come ben sappiamo, ed è il dito dietro al quale si nascondono le persone più retrive e medievali di questo Paese. Le ragazze non si sono arrese e hanno sporto denuncia: “Perché dovremmo rinunciare a un nostro diritto, solo perché un impiegato si rifiuta di fare il suo dovere e ci nega qualcosa che ci spetta?”, dice Anna. La querela è arrivata fino ai piani alti dell’Atc, e cioè al presidente Marcello Mazzù che ha prontamente convocato i dirigenti e l’impiegato in questione. “Il comportamento del dipendente ha leso la dignità umana di due persone e non può stare a contatto col pubblico”: scatta quindi l’apertura di un provvedimento disciplinare nei suoi confronti e la rimozione immediata dal suo incarico.
Il fatto assurdo è che l’Atc prevedeva già prima dell’approvazione delle unioni civili la possibilità di convivenza more uxorio per due persone dello stesso sesso: “Non esiste alcuna obiezione di coscienza. Mi auguro che la sanzione sia commisurata alla gravità del fatto”, conclude Mazzù. Sulla vicenda sono intervenuti anche il sindaco Piero Fassino e l’Arcigay di Torino: “Da anni lottiamo per sconfiggere ogni forma di discriminazione; ha fatto bene l’Atc ad intervenire riaffermando il diritto alla parità di trattamento per tutti, così come dispone la legge sulle unioni civili. In nessun caso è accettabile una discriminazione sull’orientamento sessuale delle persone, a maggior ragione se parliamo di assegnazione di una casa pubblica”.
Questa è la prima condanna della legge italiana per una persona che non ha rispettato la nuova regolamentazione sulle unioni civili: qualcosa di positivo si sta muovendo.
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