Walter Elias Disney, genio demiurgo dell’impero Disney, morì a Burbank, California, il 15 dicembre del 1966.
Esattamente 50 anni fa spariva il primo fornitore di materiale immaginifico del ‘900, colui che diede, forse, il più alto contributo alla creazione di un’immaginario collettivo fatto di storie e personaggi entrati di diritto nella cultura popolare dello scorso secolo.
Negli anni successivi alla sua scomparsa, la Disney moltiplicò le proprie produzioni, consolidando un impero che ancora oggi non conosce rivali. Proprio per l’importanza assunta negli ultimi 70 anni, e il fondamentale ruolo nella formazione delle diverse generazioni, molti studiosi si sono interrogati sui meccanismi alla base delle narrazioni proposte nel tempo, osservandone cambiamenti, miglioramenti e limiti.
In particolare, ha sempre catalizzato l’attenzione del pubblico la rappresentazione della figura femminile nelle pellicole: il filone delle Principesse, che va da Biancaneve e i 7 nani alle ultime eroine, è una cartina di tornasole per osservare i cambiamenti riguardanti la rappresentazione di genere nella società, prima ancora che nel cinema.
I critici individuano 3 momenti fondamentali molto diversi tra loro: una prima fase, riconducibile alle prime 3 storiche principesse, Biancaneve, Aurora e Cenerentola; una seconda, rappresentata da Ariel, Belle, Jasmine, Pocahontas, Mulan e Jane; e una terza, simboleggiata da Tiana, Rapunzel, Merida, Elsa e Anna.
Prima fase
Le 3 principesse videro la luce tra il 1937 e il 1959, quando Walter era ancora in vita. Erano anni difficili per le donne, anni in cui non solo era complicato far sentire la propria voce, ma persino guadagnarsi la dignità di un lavoro e di una vita che esulasse dal perimetro familiare. I 3 personaggi, di conseguenza, sono la rappresentazione di come la società fallocentrica desiderava e vedeva le donne: sottomesse, dolci, buone ed estremamente passive. La loro realizzazione dipende sempre da una figura maschile; non solo, figlie della società in cui nacquero, sono impregnate di stereotipi, che vanno dall’idea che trovare l’amore della propria vita sia lo scopo unico dell’esistenza femminile e la bellezza l’unico mezzo per conquistarlo, al principio per cui la dimensione femminile debba unicamente esaurirsi nelle faccende domestiche e nel canto. Non c’è capacità di lottare per il proprio lieto fine.
Seconda fase
Tra il 1989 e il 1999, una serie di personaggi cambiarono le carte in tavola. Ci vollero 40 anni prima che la Disney proponesse una nuova principessa, Ariel, che, in una società totalmente mutata, non poteva che rappresentare questo cambiamento. Le donne non sono ancora padroni del proprio destino (Jasmine, in Aladdin, non può neppure scegliersi marito, e siamo nel 1992!) ma alla base, come denominatore comune a tutte le vicende, c’è sempre un tentativo di liberarsi dalle catene imposte dalla società. Le donne sono figure sveglie, avventurose, vivaci e intelligenti, elementi che vanno via via rafforzandosi fino ad arrivare a Pocahontas e Mulan: la prima, principessa atipica e quasi completamente emancipata, “vittima” dell’unico non-lieto fine della storia Disney, la seconda che si traveste da uomo per salvare la vita del proprio padre andando in guerra al suo posto. Siamo finalmente di fronte a un ribaltamento: la donna salva l’uomo (il padre in questo caso) e ottiene una legittimazione. Finalmente ha pareggiato i conti con la storia e può fare tutto quello che fanno gli uomini, compreso spingersi a esplorare le foreste come farà la Jane protagonista di Tarzan.
Terza fase
Arriviamo alle figure più recenti, che possiamo tranquillamente definire eroine. La donna è protagonista del proprio destino ed è lei a decidere la propria sorte: Tiana, protagonista della Principessa e il ranocchio, è la prima principessa di colore, mentre Merida, protagonista di Ribelle, è l’anti-principessa per eccellenza, con un atteggiamento sgraziato e molto mascolino che si distacca dalla visione stereotipata e semplicistica della donna che ama il colore rosa e le scarpette di cristallo con il tacco.
Pur essendo palese il cambiamento avvenuto nel corso dei decenni, questo non ha risparmiato alla Disney, più recentemente, accuse di maschilismo. Nei film sulle principesse degli anni ’90, attenendosi a meri calcoli, le donne hanno un numero inferiore di battute e ruoli sostanzialmente secondari.
Nonostante Ariel sia considerata un personaggio di rottura, La Sirenetta è anche il primo film Disney in cui gli uomini hanno un numero nettamente superiore di battute. Certo, c’è da tenere presente che l’espediente stesso del racconto è la perdita di voce da parte della protagonista, ma ciò non toglie che sia comunque un elemento di cui tenere conto.
Due studiose americane, Carmen Fought e Caren Eisenhauer hanno condotto degli studi linguistici approfonditi sul linguaggio all’interno delle pellicole Disney, per far luce sul diverso modo in cui parlano i personaggi maschili e femminili. I dati sono stati sorprendenti: nei 3 cartoni più datati (Biancaneve, Cenerentola e Bella addormentata) le donne parlano tanto quanto o più degli uomini (il rapporto è 50:50 nel primo, 60:40 nel secondo e addirittura 71:39 nel terzo). Al contrario, nell’era del cosiddetto “Rinascimento” Disney della fase ’89-’99, i dialoghi sono clamorosamente dominati dagli uomini: addirittura 90% in Aladdin.
La considerazione più immediata è che questo avviene in primo luogo perché le storie sono popolate maggiormente da figure maschili, ma non basta. Con la crescita del numero dei personaggi, paradossalmente, aumenta la disuguaglianza di genere, soprattutto perché le donne non ricoprono mai ruoli di potere. Non solo: ogni volta che c’è da aggiungere un personaggio secondario, che sia un negoziante o una guardia, questo è e sarà sempre un uomo, per colpa di un meccanismo inconsciamente e profondamente radicato nella nostra cultura. Tutti i personaggi raccolti sotto l’etichetta di “aiutante chiacchierone” – da Mushu in Mulan al Genio in Aladdin – sono sempre uomini. Perché il genio non era una donna?
Con le pellicole di nuova generazione le cose sono decisamente cambiate, nonostante in Frozen, cartone che racconta il rapporto tra due sorelle, gli uomini abbiano il 59% di battute.
Ovviamente, giudicare un film solo dal numero di parole pronunciate dalle donne non rappresenta un approccio esaustivo. Ciò che i personaggi dicono rimane in assoluto l’elemento più importante, e in questo ambito il bilancio è molto positivo: le due studiose, prendendo in considerazione i complimenti rivolti ai personaggi femminili, hanno osservato una tendenza piuttosto chiara nel passaggio da apprezzamenti orientati all’aspetto fisico a quelli legati ad abilità, capacità e azioni. Mentre nei classici il rapporto è 55% di complimenti per l’aspetto e 11% per le capacità, in Frozen siamo di fronte a un ribaltamento, 22% per l’aspetto, 44% per le azioni. I commenti legati all’aspetto rafforzano l’idea secondo cui l’apparenza sarebbe un quid fondamentale fondamentale nella vita, e possono causare disagi legati al proprio corpo e alla propria immagine.
La questione femminista sembra ormai finalmente entrata nel linguaggio e nelle prerogative dell’impero Disney. Non a caso, le ultime pellicole, Frozen e Ribelle, sono state entrambe ideate, scritte e dirette da una donna o da un team che comprendeva donne.
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