Giulio Beranek: “Da piccolo ho amato un ragazzo ma l’analisi l’ho fatta con Servillo”

L’attore pugliese di Lasciati andare ci racconta la sua vita come se fosse una vera seduta analitica.

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Di famiglia circense, girovago, ex calciatore. Giulio Beranek è un attore emergente da tenere d’occhio, e lo vedremo nell’atteso nuovo film dei fratelli Taviani Una questione privata: nella commedia Lasciati andare di Francesco Amato interpreta invece uno dei pazienti di Toni Servillo, un uomo affetto da doc omosessuale, cioè ossessionato dall’idea di poter essere gay.

Lo abbiamo intervistato cercando di immedesimarci nel grande attore napoletano che nel film diventa amico di una vitale personal trainer interpretata da Veronica Echegui.

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Ipotizza di essere molto rilassato, sul lettino di Lasciati andareChi è Giulio Beranek?

È una risposta che sto cercando di darmi. Spero che intorno ai quarant’anni riuscirò a trovarla. Ho una vita che non si ferma mai: sono di famiglia itinerante ma non mi piace dire giostrai per il valore che ha assunto nel tempo. Ho sempre visto il mondo delle giostre come un microcosmo che si sposta, c’è il buono e il brutto.

Che origini ha il nome Beranek?

Mio padre è ceco e ha vissuto a Belgrado dopo la fuga dall’ex Yugoslavia e ho una mamma mezza greca e spagnola. Ma sono nato a Putignano, in provincia di Bari.

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Questo sangue misto ti ha fatto viaggiare molto?

Stavo per nascere in un camion! Continuo a vivere in un caravan, per me le ruote sono come le branchie dei pesci.

Hai già da piccolo una vita girovaga. Poi ti appassioni di calcio ed entri nelle giovanili dell’Olympiako ma hai un infortunio…

Sì, mi sono rotto il crociato verso i tredici/quattordici anni e il recupero è stato velocissimo. È stato uno dei rimorsi che tutt’oggi mi porto dietro per come è successo. Mi sono sentito un po’ un vigliacco ad abbandonare quella strada. A quindici anni ero già tornato in Italia. Mi sono scontrato in una realtà diversa rispetto ad Atene, era molto più genuina. Mi sono trovato anche in un ambiente microcriminale.

Hai mai fatto analisi?

Solo due sedute.

Poi ti trovi sul set di Lasciati Andare. Come ti sei trovato nel ruolo di un paziente affetto da doc omosessuale curato da Toni Servillo?

L’incontro con Francesco Amato inizialmente aveva visto in me quel tratto balcanico che voleva per il ruolo di Yuri, il provino iniziale che mi ha portata da Amato. Ho poi fatto un lavoro sull’idea di rabbia di un calciatore. All’inizio non sapevo se fosse o no omosessuale.

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Che è esperienza è stata recitare col mostro sacro Toni Servillo? È stato uno psicologo paterno, una sorta di consigliere?

Toni Servillo è un signore, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo lavoro. Abbiamo fatto pochi ciak ma un lavoro di preparazione importante.

Com’è immergersi in un ruolo così difficile, essere credibile senza fare la macchietta? Come ti sei preparato?

Sono circondato da amici gay ma ho preso dal mio bagaglio personale. Ho avuto un particolare attaccamento a un amico che mi ha fatto andare in crisi. Dai dodici ai quindici anni ero piccolo, magro e sensibile. C’era una banda di ragazzini che si divertivano a stuzzicarmi. Temevo di non riuscire a reagire, ero convinto di essere omosessuale. Mi chiudevo nella mia roulotte e spaccavo tutti i mobili di legno. Distrussi un’anta sopra la cucina con un pugno, mi sono pure fatto male alla mano.

È stato un amore platonico?

Ci siamo baciati sulle labbra più di una volta per dimostrare ai nostri compagni di classe quanto ci volessimo bene. Tutti i ragazzini che frequentavano la scuola italiana ad Atene erano più emancipati e precoci dei ragazzini in Italia. Lui aveva molta più leggerezza di me. Era palermitano, si chiama Roberto. Eravamo inseparabili. È stato uno dei primi che ho portato a dormire nella mia roulotte. Ci siamo lasciati quando tornai in Italia, lui rimase in Grecia. Lo beccai su Facebook ma non mi ha più risposto. Mi ha rimosso dalle amicizie.

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Non hai mai avuto la fantasia dei maschi sotto la doccia, tipicamente cameratesca da ambiente ‘concentrazionario’ maschile?

Mi faceva molto paura il momento delle docce, non tanto per la paura del tradimento del gruppo quanto piuttosto per il confronto.

L’ambiente del calcio è tradizionalmente omofobo. Che pensi del coming out? Può aiutare il ragazzino che magari compra le merendine con la sorpresa del suo calciatore preferito?

Il coming out ha un valore sociale, è una delle cose più utili, sarebbe come quello dei cantanti famosi. Ma a tredici anni non sei formato come uomo, non hai la forza necessaria.

La tua fidanzata sa queste cose?

Lei sa tutto!

Hai avuto altri ruoli queer?

No.

Che rapporto hai con la tv, che è stata tra l’altro quella che ti ha dato celebrità, da Tutto può Succedere a Senza arte né parte

La tv entra nelle case. Sto sempre girando per la tv ma il mio nuovo progetto è il romanzo Il figlio delle rane scritto con Marco Pellegrino che uscirà per Bompiani nel 2018, un racconto di formazione su un bambino figlio di circensi. 

Progetti futuri?

Ho girato il nuovo film dei fratelli Taviani Una questione privata (in predicato per il Festival di Venezia, n.d.r.). Ho il ruolo molto bello di Ivan, amico del protagonista Milton (Luca Marinelli, n.d.r), il personaggio che mi aveva più colpito quando ho letto il romanzo.

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Giovanni Di Colere 16.5.17 - 19:27

Se questo è il cinema non mi meraviglio che non ci vada più nessuno

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