È l’inizio 2023 quando, dopo anni di attesa, Larian Studios rianima un franchise molto caro agli appassionati di RPG e, nel farlo, ridefinisce lo standard nel mondo videoludico.
Storyline eccezionale, un open world perfetto sotto tutti i punti di vista e una caratterizzazione dei personaggi pressoché umana, Baldur’s Gate III ha fatto incetta di premi a qualunque award si sia presentato.
Un titolo inattaccabile sotto molti punti di vista, che però è riuscito ugualmente a suscitare l’ira dei alcuni puristi, che si sono scagliati su un piccolo, ma significativo dettaglio: BG3 è “woke“. E non un woke a metà, buttato lì per guadagnare qualche punto rainbow. La rappresentazione è a 360°.
Il personaggio giocabile può avere qualsiasi orientamento sessuale o identità di genere a seconda delle esigenze del giocatore. Niente che The Sims non avesse già inventato nel 2022, ma qui si tratta di un machissimo RPG. E quindi, a molti, non è andata giù.
“Perché rovinare un’intera industria per far contenti quattro gatti?”, lamenta il die hard gamer di turno sotto un post Instagram di Larian – implicando nel contempo che la rappresentazione di identità differenti all’interno di un’opera sia un punto di demerito.
Del resto, la comunità LGBTQIA+ rappresenta meno del 10% della popolazione mondiale, e probabilmente una percentuale persino inferiore tra gli appassionati di videogiochi. Vero? Falso.
Stando al 2024 GLAAD Gaming Report, il 17% dellǝ appassionatǝ di videogiochi si dichiara queer (una percentuale che sale al 28% se si considera la fascia d’età sotto i 35 anni), sebbene meno del 2% dei titoli includano anche solo una minima rappresentazione delle identità LGBTQIA+ e la maggior parte dei rispondenti al sondaggio abbia dichiarato di aver subito una qualche forma di abuso o di molestia mentre giocava online a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere.
Per numerosǝ giocatorǝ queer, i mondi virtuali rappresentano un rifugio, un luogo di espressione libera e sicura, soprattutto in ambienti in cui la società civile e le stesse istituzioni si mostrano ostili nei confronti dell’identità LGBTQIA+ – lo studio prende d’esempio gli Stati a maggioranza repubblicana in USA.
Una considerevole maggioranza, il 75% degli intervistati, ha dichiarato di trovare nei videogiochi uno spazio dove esprimersi autenticamente, in maniere che nella vita reale potrebbero sembrare irraggiungibili o fonte di disagio.
La capacità di identificarsi con personaggi che riflettono fedelmente il proprio genere e orientamento sessuale riveste quindi un ruolo cruciale per lǝ giocatorǝ appartenenti alla comunità LGBTQIA+.
Una significativa percentuale, il 72%, testimonia che la presenza di figure che incarnano le loro identità di genere o orientamenti sessuali migliora sensibilmente il proprio benessere emotivo durante le sessioni di gioco.
Questo fenomeno assume contorni ancora più marcati tra i giovani, con una percentuale che sale al 78% tra gli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni.
L’interesse verso titoli videoludici che offrono la possibilità di impersonare personaggi in linea con il proprio genere è maggiore tra lǝ giocatorǝ LGBTQIA+ rispetto ai non-LGBTQIA+, con una probabilità 1,4 volte superiore di prediligere giochi che consentano tale esperienza.
La ricerca di una rappresentanza più ampia e significativa attraversa invece indistintamente tutta la comunità dellǝ giocatorǝ – queer e non.
Il 68% dei giocatori LGBTQIA+ esprime il desiderio di vedere personaggi e storie queer più centrali nella trama dei titoli che acquistano.
Sebbene questa aspirazione sia particolarmente forte tra i giocatori LGBTQIA+, riscontrando una tendenza 3,2 volte maggiore rispetto ai non-LGBTQIA+, è rilevante notare che anche una quota significativa di giocatorǝ non-LGBTQIA+ (21%) e, più in generale, il 29% dell’intera popolazione di giocatori condivide questo sentimento.
Tale inclinazione è preponderantemente osservata tra i giovani al di sotto dei 34 anni e tra coloro che si dedicano ai videogiochi con maggiore assiduità o investimento.
L’importanza di una rappresentazione rispettosa e autentica si estende a entrambi i gruppi, LGBTQIA+ e non. Circa il 70% dei giocatori LGBTQIA+ e il 46% dei giocatori non-LGBTQIA+ dichiarano di essere meno inclini all’acquisto o al gioco se il titolo propone contenuti che perpetuano stereotipi dannosi o tropi negativi riguardanti la comunità LGBTQIA+.
La necessità di espandere e approfondire la rappresentazione delle identità LGBTQIA+ nei videogiochi è quindi evidente, un’esigenza sentita non solo all’interno della comunità LGBTQIA+, ma anche da un numero crescente di alleati e giocatori non-LGBTQIA+ che riconoscono il valore di un’industria del gioco più inclusiva e rappresentativa.
“Il rapporto trasmette un segnale incisivo al mondo dell’industria videoludica: è giunto il momento di abbandonare la concezione per cui i videogiochi che rappresentano la comunità LGBTQ+ debbano essere relegati a una categoria marginale e di nicchia”. Spiega Blair Durkee, a capo della ricerca “è fondamentale che i videogiochi si impegnino a rappresentare in maniera fedele e inclusiva l’ampio spettro di persone che li fruiscono“.
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