Gli affamati di Mattia Insolia (Ponte alle Grazie, 2020) è stato accolto come il romanzo sbalorditivo di un esordiente di soli 25 anni incredibilmente maturo e dallo stile già consolidato. Pubblicato sul finire dello scorso anno, è però il 2021 l’anno in cui il suo autore sta riempiendo il paniere; e anche se qualcosa sfuma, la soddisfazione d’aver visto il proprio libro in corsa per lo Strega, il maggiore fra i premi letterari italiani, è qualcosa che non accade a chiunque.
Il libro
Paolo e Antonio sono due fratelli. Vivono da soli a Camporotondo, il prototipo di uno dei tanti paesi del nostro Mezzogiorno, dopo che il padre è morto e la madre se n’è andata per sfuggire a un’esistenza troppo dura e ingiusta. Per resistere, Paolo e Antonio si legano ancora più stretti l’uno all’altro e, tra mille difficoltà, in qualche modo riescono a rimanere a galla. Del resto, pretendere di più sarebbe impensabile. “Non c’era niente, a Camporotondo. E i suoi abitanti, quel niente, se lo facevano bastare con simulata indifferenza”.
Nonostante la scorza dura di entrambi, Paolo e Antonio sono molto diversi fra loro. Paolo ha poco più di vent’anni, è il maggiore ed è l’uomo di casa. Si spacca la schiena nel cantiere dove va a lavoro tutti i giorni e l’unico svago che conosce sono le sbronze con gli amici alla sera o nel weekend. Antonio invece va ancora al liceo; è cresciuto troppo in fretta e considera il fratello il baricentro della sua vita. In lui cerca protezione e conforto, ma non sempre le trova. Nelle loro vite fatiscenti è spesso la violenza a fare quello che nelle altre famiglie fanno invece le parole e l’affetto. Del resto, la debolezza è un lusso che nessuno può mettersi, laggiù. E le scuse – parola di Paolo – sono roba da froci. Chi ha una debolezza la tiene nascosta a tutti, in primo luogo a sé stesso. Antonio, che quasi se ne vergogna, non si sognerebbe mai di dire a Paolo che quando rimane a casa da solo gli capita di sdraiarsi sul letto a leggere un libro, né Paolo direbbe mai ad Antonio che quando va a puttane ad accendere le sue fantasie erotiche è l’amico Carlo che scopa nel cespuglio accanto.
Omosessualità e provincia
A circa metà libro emerge – a fatica – il tema dell’omosessualità. Meno centrale di quanto avrebbe potuto diventare, ma comunque abbastanza dirompente da imprimere una nuova sterzata a un romanzo che già corre veloce e a cui piacciono le emozioni forti. Perfettamente coerente con l’ambientazione gretta e provinciale che ha scelto, quando Insolia tocca l’argomento omosessualità lo fa partendo dagli stereotipi e dall’omofobia di cui i suoi personaggi si nutrono. L’omosessuale è l’effemminato, l’appariscente, il sensibile, quello la cui interiorità si riflette fedelmente all’esterno nel modo che ha di parlare e di vestirsi. Accanto a questa prima presentazione che sembra uscita direttamente dagli anni ’80, Insolia apre però anche un altro scenario molto più interessante – e che ancora non ha fatto pienamente breccia nell’immaginario comune – sull’omosessualità latente in certi modelli sfacciatamente virili. È però solo uno scenario, anzi uno spiraglio dietro una porta che Insolia non ha l’intenzione né la necessità di oltrepassare. Così come racconta l’omosessualità solo marginalmente perché non ne rappresenta il tema dominante, così Gli affamati, romanzo profondamente incardinato sulla contemporaneità letteraria, si guarda bene dallo sgrovigliare la matassa psicologica dei personaggi alla maniera del romanzo novecentesco. In questo senso, l’unico effetto della sua scrittura adrenalinica e a tratti rabbiosa, della sua prosa minimalista tutta concentrata sull’azione e sulla corporeità è quello di ammassare senza ordine le schegge aguzze e lucenti di un mosaico introspettivo che in realtà non è stato mai previsto.
Gli affamati è un romanzo che vale la lettura. Il titolo – che anticipa il tugurio esistenziale in cui Insolia confina Antonio e Paolo e tutti gli altri personaggi del libro – rende perfettamente l’idea di cosa il lettore troverà nelle sue pagine, ovvero una rabbia vorace, una fame insaziabile di riscatto e di rivincita – o forse solo di vita. Una fame e una rabbia che sono la paura stessa di perderla oppure di viverla veramente, questa vita, e che dalla parte del lettore si tramuta invece in una voglia irrefrenabile di giungere in fondo, costringendolo – almeno così è successo a me – a leggere questo romanzo quasi in apnea.
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