La tv generalista continua a fare dei (piccoli) passi in avanti per divulgare tematiche care al mondo queer.
Così anche Le Iene, tra i più amati-odiati programmi di attualità nel palinsesto televisivo, questa settimana diventa un trionfo di orgoglio transgender, dando spazio e parola direttamente ai diretti interessati (ancora oggi tra le categorie più marginalizzate della nostra società, anche all’interno della comunità LGBTQIA+).
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È il caso della storia di Ruan, uomo trans di origini brasiliane con un passato da suora: “Sono Ruan, sono un uomo e finalmente ho avuto il coraggio di essere me stesso”. Ruan racconta di essersi sempre sentito a disagio con il proprio corpo sin da piccolo, ma di non aver mai trovato le parole per tradurre davvero il suo disagio esistenziale. Dopo aver dedicato dieci anni della sua vita alla vita al convento, la sua vera natura e l’ambiente religioso faticano a trovare un reale punto d’incontro. Allontanandosi dalla chiesa, Ruan inizia il suo percorso di rinascita e (ri)scoperta. Fondamentale sarà l’incontro con un missionario che diventa il suo “direttore spirituale” e lo porta in Italia in una comunità di ritrovo in Italia: “È stata una cosa sconvolgente. Mi sono ritrovato in una realtà dove mi hanno accolto gli ultimi: drogati, alcolisti, prostituti” racconta Ruan “Se non avessi accolto questa comunità, mi sarei ritrovato o in manicomio o al cimitero. Non ci sarei più dal ’98. Eppure sono qua“. In comunità il rifiuto del convento diventa solo uno spiacevole ricordo, e Ruan ritrova sé stesso insieme all’amore di una famiglia che non avrebbe mai pensato possibile: “È l’amore che vuole solo il tuo bene, non ti giudica, ti accompagna e stimola” dice alle Iene “Ma è anche un amore che esige il meglio e il massimo da te, perché crede in te quando neanche tu ci credi. Avevo perso e ritrovato il senso, insieme alla voglia di vivere“.
Dichiara di stupirsi ancora di essere Ruan, ma il percorso di riflessioni e conoscenza ha maturato in lui una nuova saggezza, svincolata dalle repressioni del passato: “Ho una nipote molto religiosa che mi chiede: zio, pensi che Dio ha sbagliato quando ti ha creato?” racconta a Nina di Le Iene “No, io penso che sbagliamo a pensare che Dio ragioni come noi. Quando tornerò da lui non mi chiederà la carta d’identità. Non penso che saremo giudicati per il nostro corpo. Sono nato nel corpo da donna ma mi sono sempre sentito uomo“. Il servizio segue Ruan durante la masecotomia per rimuovere il seno e avere un torace maschile, con tutta la gioia e l’orgoglio di quel grande momento: “Io ci ho pensato cinque anni per entrare in convento. Dieci per uscire. E ci ho pensato sessanta per diventare quello che sono” conclude fiero: “Quando deciso non guardo indietro. È tutto quello che voglio. Se poi succede qualcosa, io intanto ho fatto la mia parte“.
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La storia di Ruan lascia spazio all’influencer Francesco Cicconetti, meglio noto come @mehths, che tiene uno splendido monologo sull’importanza delle parole, breve ed efficace quanto basta: “Quando dico di essere un ragazzo trans demisessuale qualcuno mi risponde che ormai ci sono troppe parole. Ci sono troppe etichette e non si capisce più niente” esordisce Cicconetti “Ma da quando le parole sono troppe? Ci servono solo per descrivere la realtà, non per inventarla. ” In pochi potentissimi minuti Cicconetti smantella ogni qualunquismo sulle “troppe” categorie della comunità LGBTQIA+, cogliendo l’urgenza delle definizioni che ci bombardano ogni giorno, dando validità e spazio ad una realtà che, per quanto confusionaria e complessa, non può mai essere troppa: “L’identità ha bisogno di parole perché altrimenti non esiste. È solo essenza che vaga nell’aria incorporea” conclude Cicconetti: “Per questo dico ragazzo trans demisessuale, perché Francesco non sarebbe abbastanza”.
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