È uscito il primo giugno edito da Blackie “L’arte di essere Raffaella Carrà“, primo libro del giornalista Paolo Armelli interamente dedicato all’iconica Raffa nazionale, a quasi un anno dalla sua morte. Un manuale per essere liberi, felici e rumorosi, per “far l’amore con chi hai voglia tu”, quello realizzato da Armelli, chiamato a celebrare una Raffaella che canta, balla e brilla, che lotta, ride e si commuove, che rischia, che sbaglia, che sceglie, sempre. Il ritratto di un’artista che, credendo fermamente in sé stessa, ha dato fiducia e ha liberato tutti quanti noi.
Un libro che è un viaggio nella sua vita e nei suoi insegnamenti, affrontato anche attraverso i ricordi di chi ha lavorato con lei e le ha voluto bene. Con un ambizioso obiettivo: prendere un po’ della sua indipendenza e leggerezza, per poi farle nostre. Perché la grandezza di Raffaella Carrà andava ben oltre il suo immenso talento: l’opera d’arte era lei, quello che riusciva a trasmettere con il suo modo di stare al mondo.
L’arte di essere Raffaella Carrà celebra una donna straordinaria attraverso dieci piccole «regole». Per imparare a dare valore alla propria persona, soprattutto quando gli altri non lo fanno. A mettersi in gioco e non avere rimpianti. Ad amare la propria unicità. Per vivere tutti un po’ meglio. Con o senza paillettes. All’interno del libro interventi di Laila Al Habash, Giovanni Benincasa, Daniela Collu, Vanessa Incontrada, Vladimir Luxuria, Michele Masneri, Rossella Migliaccio, Raquel Peláez, Marinetta Saglio Zaccaria, Thierno «Billo» Thiam, Alessandro Zan.
Per l’occasione abbiamo intervistato Paolo Armelli.
Partiamo dal principio. Com’è nata l’idea di esordire nel mondo dell’editoria con un libro dedicato a Raffaella Carrà.
“Devo essere sincero, questa è stata un’idea dei ragazzi di Blackie. L’anno scorso avevano pubblicato L’arte di essere Bill Murray e volevano replicare la formula. Quale migliore personaggio italiano per iniziare questa collana, se non Raffaella Carrà. L’idea è sempre la stessa, ovvero raccontare la sua vita, la sua carriera, il suo talento, ma attraverso delle regole a cui tutti possono ispirarsi per vivere liberi e leggeri come lei”.
Lavorando al libro, avrai sicuramente studiato l’infinita storia professionale di Raffaella, alla ricerca di episodi e avvenimenti. C’è un aneddoto in particolare, che non conoscevi e ti ha sorpreso.
“La ricostruzione della sua carriera, soprattutto degli inizi, è ricca di storie, aneddoti. Uno in particolare mi ha divertito molto. Per cercare di scavare negli archivi dei giornali, e per capire quando iniziò a montare il mito Carrà, una delle storie più eclatanti fu quella del suo presunto matrimonio con Roberto Boninsegna, all’epoca calciatore. I giornali ad un certo punto titolano di un matrimonio, ma non era vero niente. Lo stesso Boninsegna chiamò il giorno dopo per rettificare e successe un primo caso primordiale di catfishing, perché a Raffaella Carrà si presentò un uomo che diceva di essere Boninsegna ma in realtà era un cameriere fiorentino, era stato lui a chiamare i giornali per millantare questa proposta di matrimonio ma non era vero niente. Però la storia fece tanto clamore.
In tanti si sono spesso chiesti come mai La Raffa sia stata icona queer internazionale, da subito, per decenni. Quale credi sia la risposta.
“Lei diceva “Sono un’icona gay mio malgrado”, e non perché le facesse dispiacere ma perché non si capacitava di come fosse avvenuto questa intesa tra lei e la comunità queer. L’essere icona gay è forse il più grande mistero della nostra cultura, il perché la comunità elegge alcune dive a proprie icone. Lei era un po’ paradigmatica di questa identità. I suoi abiti eccessivi, il suo caschetto, il suo aspetto ricercatissimo, la sua luminosità naturale, il suo sorriso, il modo che aveva di approcciare la vita, unite ad una carica rivoluzionaria. Lei sfidò le convinzioni, infranse quello che era il modello della donna dell’epoca, sempre un po’ ancillare all’uomo che non poteva scegliere per sè stessa e che non poteva vivere la propria sessualità. Lei sfidò queste convinzioni e per osmosi i gay si identificarono in questa diva appariscente e luminosa che sfidava la società”.
Sin dagli esordi televisivi, Raffaella Carrà è stata simbolo di indipendenza e di libertà, anche sessuale, cantando brani a dir poco coraggiosi per l’epoca. Ma era lei ad essere sempre un passo avanti, o la società di oggi è inspiegabilmente tornata ad un pudore e ad un bigottismo vecchio di 100 anni.
“Credo siano vere entrambe le cose. All’epoca lei incarnava degli slanci che nella società esistevano, come il mostrare l’ombelico, parlare liberamente di amori, amanti, relazioni, erano cose che si facevano e ampiamente anche all’epoca ma era tutto sottaciuto nella rappresentazione mainstream. C’era ancora una cappa di pudore e conservatorismo che lei demoliva. Ma è anche vero che oggi viviamo una specie di neobigottismo, per cui molto spesso i comportamenti privati vengono additati oppure al contrario c’è solo un’iper-esposizone di una sessualità volgare, urlata. Invece Raffaella Carrà, pur essendo un’icona sexy come scritto dal The Guardian, non è mai stata sfacciata, volgare, ha sempre mantenuto quel livello di rappresentazione estetica che era un equilibrio tra la liberazione e una comunicazione che poteva essere trasversale”.
Quale ritieni sia il più grande insegnamento che Raffaella Carrà ha lasciato a tutti noi, dopo oltre mezzo secolo di carriera tra musica, tv e cinema.
“”Fai l’amore con chi hai voglia tu” è l’incarnazione di una liberazione, nonché di vicinanza alla comunità LGBTQ+. Credo sia stato uno dei suoi più grandi insegnamenti, da parte di una donna della sua fama e della sua notorietà. Non era tenuta a prendere posizioni che per l’epoca potevano essere rischiose, e invece lei lo fece con chiarezza e coraggio. Altra regola fondamentale, “nessuno ha le caviglie troppo piccole”. Perché questo a lei dissero, in un’accademia di danza di Roma, che aveva le caviglie troppo sottile per fare danza classica. Dovette quindi incassare questo rifiuto e cambiare direzione, facendo una scuola di cinema per poi intraprendere un percorso che l’ha portata a diventare la Raffaella Carrà che tutti noi conosciamo. Mi sembra un insegnamento molto concreto. Siamo sempre molto additati, nella nostra fisicità, nei nostri limiti, nelle nostre particolarità. Spesso i nostri fallimenti vengono considerati una colpa, di cui vergognarsi, e invece lei ha dimostrato che se si chiude una porta si può aprire un portone. Anche se non eccelliamo in tutto dobbiamo trovare i nostri punti di forza ed essere pervicaci nel perseguire quelli”.
Dovendo appiccicare l’etichetta di “nuova Raffaella” a qualcuno, sulle spalle di chi scaricheresti l’ardua responsabilità. Esiste una nuova, ipotetica, presunta, potenziale Carrà?
“Onestamente, dubito ci sia. È cambiato anche il mondo dello spettacolo. Non esistono più quel tipo di varietà Rai che erano delle scuole di grandissima complessità, che mettevano insieme canto, recitazione, ballo, conduzione. È anche cambiato il modo in cui chi è famoso si approccia al pubblico. È innimmaginabile pensare che Raffaella Carrà potesse diventare influencer o icona social, mentre ora è tutto molto più accelerato, più esposto. È difficile individuare una nuova Raffaella Carrà. Forse una persona che potrebbe essere sulla rampa di lancio è Elodie. Ha quel germe lì, sa muoversi con astuzia, furbizia, tra il controllo della propria immagine, la ricercatezza non solo nella musica ma anche nella coreografia. Poi ripeto, sono cambiate le epoche e certi paragoni sono difficili da portare avanti fino in fondo”.
Da co-direttore del Mix Festival di Milano, che si terrà dal 16 al 19 giugno al Teatro Strehler, puoi dirci se ci sarà un qualsiasi omaggio in suo ricordo, a quasi un anno dalla sua morte?
“Posso darti un’anteprima: ci sarà un omaggio durante la serata di chiusura con un medley anni ’80 a cura di Italy Bares, collettivo di coreografi, danzatori e cantanti che sensibilizza ogni anno con un evento sui temi dell’HIV e della prevenzione. Quest’anno saranno sul palco dello Strehler, il 19 giugno, per regalarci un saggio del loro spettacolo, con cui faranno parecchio rumore”.
“Ognuno ha la sua Carrà, un motivo per cui volerle bene”, tu scrivi nel libro. Qual è la Raffaella di Paolo Armelli, il primo ricordo che hai di lei.
“Penso fossero i tempi di Carramba che sorpresa. Ero piccolino, il sabato sera i miei genitori mi permettevano di stare sveglio un po’ più tardi del solito, mi mettevo dinanzi alla televisione e vedevo questa donna luminosa, straordinaria, che ricongiungeva parenti divisi dagli oceani, intervistava star internazionali in inglese, ballava, cantava, aveva sempre la sua cartelletta stretta nel pugno, insomma faceva di tutto. Ancora non avevo capito quanto sarebbe stata importante per la mia vita ma già avevo visto qualcosa di speciale”.
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