È stata cacciata di casa a diciotto anni perché lesbica. Lei si chiama Irene e la sua storia è stata resa nota dall’agenzia Dire. Per mesi, Irene ha vagato tra Bologna, Udine e Padova, ospite di amiche che, piano piano, l’hanno lasciata sola. Tutto questo succedeva due anni fa. Ora Irene ha 20 anni ed ha una stanza al Centro d’accoglienza “San Ruffillo” dell’Antoniano, a Bologna, si mantiene con un lavoro e si prepara ad iniziare l’ultimo anno all’istituto professionale Aldrovandi Rubbiani. Ma non è stato facile arrivare fino a qui: nei ricordi recenti di Irene c’è una casa dove ha vissuto senza né luce né acqua e racconta di avere “provato tanta solitudine e ripensarci mi fa stare male”.
Irene aveva raccontato alla madre di essersi innamorata di una ragazza ben prima dei diciotto anni e sapeva che non sarebbe stato facile farle capire come stavano le cose, “ma non pensavo neanche che la minaccia di cacciarmi di casa potesse essere vera”, ha raccontato la ragazza.
Giunta alla maggiore età, però, è stata costretta a lasciare la casa dei genitori e ad arrangiarsi per sopravvivere. “Mi sono trasferita a casa di un’amica e lì sono rimasta per qualche mese. Ma i suoi genitori dopo un po’ mi hanno fatto capire che sarei dovuta andare via” continua Irene che poi racconta di come si è poi spostata per qualche mese a Udine e poi in provincia di Padova dove ha vissuto in una casa abbandonata.
“La ragazza con cui ero fidanzata non aveva detto nulla ai suoi genitori e così non poteva portarmi a casa – prosegue Irene- mi sono arrangiata come potevo. Con quei pochi soldi che riuscivo a guadagnare da piccoli lavori non riuscivo di certo a pagarmi un affitto e così sono finita in quella casa“. È andata avanti così finché non l’hanno trovata i servizi sociali che dopo le prime cure l’hanno affidata ai colleghi di Bologna.
Qui Irene ha sostenuto colloqui di lavoro, è passata da un dormitorio all’altro fino a quando un lavoro l’ha trovato: un progetto di formazione del Comune di Bologna in cui era coinvolto il Cassero, storico circolo bolognese di Arcigay. Lì Irene catalogava libri, nella biblioteca dell’associazione per la quale ha curato anche la rassegna stampa. “Una persona dolcissima” racconta chi, al Cassero, in quei mesi l’ha conosciuta. La mattina a scuola, il pomeriggio a lavorare. “All’inizio è stata dura riuscire a conciliare studio e lavoro – racconta – ma alla fine sono riuscita a fare tutto e passare l’anno“. Il progetto di formazione è finito lo scorso gennaio e adesso Irene ha un altro lavoro che spera le permetta di mettere da parte qualche soldo per iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dopo il diploma. “Mi piace disegnare e quando ho del tempo libero ne approfitto per esercitarmi”. Una storia non unica, purtroppo, quella di Irene, che testimonia come spesso sia proprio tra le mura domestiche che l’omofobia miete le sue giovani vittime. Irene ce l’ha fatta e sta costruendosi una vita. Ma quanti sono quelli che, invece, non reggono alla pressione, alla paura, alla solitudine e alle difficoltà?
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