Nel paese in cui l’educazione sessuale nelle scuole viene definita “porcheria” nelle aule del Parlamento italiano, vi raccontiamo una storia di censura.
Andiamo con ordine: è il 9 marzo 2021 quando, negli Stati Uniti, la Random House Graphic pubblica Let’s Talk About Sex di Erika Moen e Matthew Nolan, un libro illustrato che si prefigge l’obiettivo di parlare a un pubblico di teenager raccontando loro il sesso e l’affettività, senza cedere alle facilonerie della stereotipia o al vizio dell’inibizione. Qualche mese più tardi, la casa editrice Sonda acquista i diritti del libro, affida la curatela dell’edizione italiana a Greta Tosoni – sex coach ed educatrice sessuale – e dà alle stampe il volume, che arriva in libreria nel gennaio del 2022 con il titolo Questo libro non parla di sesso. Seguono eventi, presentazioni, gruppi di lettura, dibattiti. Poi, qualche giorno fa, a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione del libro e all’indomani di una stagione tragica in quanto ad abusi sessuali e violenza di genere, sul portale Citizen.org appare una petizione, lanciata dall’attivista pro-life Anna Bonetti, che chiede alle Librerie Coop di rimuovere il testo dal commercio. Il rischio, secondo ə firmatarə, a oggi ventinove mila teste, è che il libro finisca con il propagandare l’abitudine alla pornografia, alla masturbazione e ad altri comportamenti ritenuti perversi. Bonetti, che poi rilancia la petizione sui suoi canali social, si indigna per il proliferare, tra le pagine, di corpi nudi – soprattutto trans – e per la normalizzazione del discorso intorno all’identità di genere, ai diversi orientamenti romantico-sessuali e ai contraccettivi. «Questo non va bene! Assicuriamoci che i nostri figli e i nostri nipoti siano protetti da questa sessualizzazione estrema», scrive (qui per leggere il testo completo).
Nonostante sia altamente improbabile che il libro venga rimosso dal commercio, è preoccupante constatare quante persone ancora, e ancora oggi, licenzino l’educazione sessuale come «scandalosa e depravata»; come il sesso sia sovente associato al torbido e al proibito; quanta angoscia venga riversata intorno a questi dibattiti. È preoccupante e demoralizzante, soprattutto ora e sopratutto qui, dove la cultura sessuale – un po’ per le ingerenze della Chiesa Cattolica e un po’ per deliberate scelte politiche – è di fatto inesistente. Si pensi, per esempio, che l’Italia è uno dei pochissimi paesi in Europa – insieme a Cipro, Bulgaria, Polonia, Romania e Lituania – a non prevedere l’educazione sessuale nei curricula scolastici. Altrove, invece, si tratta ormai di una consuetudine, di un fatto incontrovertibile: la Svezia l’ha introdotta nel 1955, la Germania nel 1969, Danimarca, Austria e Finlandia nel 1970 e la Francia nel 1998. Questo, per amor di chiarezza, non significa che l’educazione alla sessualità sia bandita di default dalle aule delle nostre scuole, ma rivela l’incapacità delle nostre istituzioni di farsi carico della questione e di assumersi la responsabilità di operare capillarmente sul territorio, di sfiorare il cuore del problema e di cambiare dall’interno i codici culturali. Ciò significa che tutto è rimesso all’autonomia delle singole dirigenze, dei singoli corpi docenti. È la scuola, se lo ritiene opportuno, a dover organizzare e finanziare incontri sul tema. Non stupisce, di conseguenza, il numero esiguo di ore investite in tutto il paese per l’educazione alla sessualità. Allo stesso modo, non sorprende scoprire la parzialità degli interventi promossi, spesso condotti non da coach o formatorə esternə specializzatə, ma da docenti di scienze. Dove c’è, insomma, l’educazione sessuale in Italia è un potenziamento – spesso impigrito, incancrenito, troppo binario e troppo poco gioioso – delle ore di anatomia. Parlare di sesso, sembra ancora significare parlare solo (e male, ahinoi) di genitali, di riproduzione e di genitorialità. Tutto questo non basta: il discorso deve essere più ampio, più calato nella complessità del nostro tempo. Deve essere sistemico, non sporadico. Deve riguardare tuttə, adultə e giovanissimə, a qualsiasi altitudine, in qualsiasi latitudine.
Sebbene nelle ultime settimane, complice anche l’agitazione mediatica intorno ai casi di Palermo a Caviano, la discussione si sia riaccesa anche a livello ministeriale, è molto difficile pensare che un cambiamento concreto sia dietro l’angolo, anche e soprattutto considerando l’orizzonte culturale del governo in carica, che in più occasioni ha già dimostrato di non avere né coscienza né interesse verso i rischi di una mentalità maschilista, sessuofobica e abusante. Prendiamo in considerazione, a questo proposito, il discorso tenuto da Giorgia Meloni in difesa del compagno giornalista Andrea Giambruno che, in diretta nazionale su Rete 4, si è approcciato alla violenza di genere con un sermone intriso di victim blaming e superficialità. Se, come stiamo dimostrando, facciamo ancora così fatica ad allontanarci dalla tentazione di colpevolizzare la vittima, isolare i casi di violenza e legittimare gli abusi attraverso l’arma del bigottismo e del buoncostume, vien da sé che il clima sociale sia assolutamente infertile ad accogliere pratiche che trattino i corpi in modo più consapevole, attento e rispettoso. In questo senso, infatti, l’Italia appare come un deserto, una landa desolata in cui è pressoché impossibile imbattersi in arene che non si affidino agli schemi patriarcali per osservare, codificare e analizzare i nostri corpi e le nostre sessualità.
Per tutti questi motivi è pericoloso e controproducente anche solo pensare di poter censire un fumetto che vuole consegnare, con cognizione e giuste parole, a un pubblico di ragazzə un bagaglio di strumenti utile a immaginarsi nel mondo come come corpi sessuati e, ognunə a suo modo, desideranti, come esseri relazionali, persone in costruzione e individuə autodeterminanti. Questo libro non parla di sesso, a dire il vero, parla di sesso (bene!) e di tanto altre cose che al sesso sono connesse in modo diretto o indiretto: parla di consenso – e già questo potrebbe bastare a renderlo imprescindibile – di amore e innamoramenti, di disamore e di violenza, di sesso, genere ed espressione sessuale, di monogamia, poliamore e coppie aperte, di immagine corporea e disabilità, di sexting, di masturbazione e pornografia, di malattie sessualmente trasmissibili, di contraccettivi e di aborto, di orgasmo ed after-care, di amicizia e di affetti, di violenza e di supporto, di sorellanza, di femminismo, di maschilità. È un compendio colorato e mai banale, che si affida al linguaggio deə più giovani per catturarne l’attenzione. Questo libro non parla di sesso, che piacerà molto a chi apprezza Sex Education – è ben lontano dall’essere un libro corrotto e sodomita, che vuole sessualizzare l’infanzia e traviarne la quiete. Al contrario, si tratta di un libro che guarda alla giovinezza con grande rispetto e grande sincerità. A fronte dell’evidente impreparazione sia famigliare sia istituzionale, tuttə, da piccolə, avremmo dovuto (e voluto) leggere un libro così. Per volerci più bene, per comprenderci di più, per accettarci e capirci, per amare meglio, cioè per fare un’esperienza più gioiosa del nostro corpo, del nostro piacere, dei nostri incontri. Un libro che può essere considerato assurdamente pericoloso solo da chi guarda il mondo da un osservatorio viziato di moralismo e ipocrisia e abita il proprio tempo con un piede ancora infangato nel peggiore del nostro passato.
L’educazione sessuale non può e non deve – oggi più che mai – poter essere considerata perigliosa e sdrucciolevole. Non possiamo permetterci come società di confondere la depravazione con la consapevolezza. Non possiamo permetterci, perché ne va del nostro futuro, di affidarci ancora agli schemi patriarcali tipici di un certo modo di dirsi cittadinə e di dirsi credenti. Un paese che ha a cuore l’educazione sessuale dei propri abitanti è un paese potenzialmente più sano, più felice e più ricco: in un periodo in cui la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili è in triste aumento, una maggiore consapevolezza sessuale potrebbe, per esempio, portare con sé un minor numero di contagi. Parlare di sesso e corpi, insomma, significa parlare di vita e di salute, significa riscrivere le dinamiche di potere che spesso, troppo spesso, regolano i rapporti uomo-donna. Significa decostruirsi per costruirsi più liberə e, concretamente, significa investire su individuə più conscə di quelli che sono i rischi e le gioie legati al proprio desiderio. Parlare di sesso, e fare sesso, è un atto profondamente politico, perché è un gesto che si insidia nell’incontro, sia esso tangibile o virtuale, tra due o più persone. Per questo, e altri motivi, occorre dissociarsi da chi metterebbe al rogo i libri e il nostro futuro.
Questo libro parla (sì) di sesso e continuerà – continueremo – a farlo.
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