Il Lovers Film Festival di Torino ha chiuso i battenti, con una serata di premiazione segnata dalla presenza di Sabina Guzzanti e la conferma di Vladimir Luxuria come direttrice artistica per il prossimo triennio, al termine di una settimana in cui la sezione ‘documentari’ ha confermato le proprie potenzialità per raccontare e ripercorrere oltre mezzo secolo di storia LGBTQ+, nazionale e internazionale.
Archivi a tematica queer da saccheggiare per ricostruire decenni di battaglie, eventi storici, lotte che hanno segnato parte del movimento e della comunità. Il documentario è sempre più imprescindibile, come strumento narrativo, per dar voce ad un universo a lungo silenziato, lasciato ai margini, spesso diffamato, attraverso documenti fotografici e video che si fanno memoria storica. All’interno della sezione documentari della 37esima edizione del Lovers, tre progetti hanno in tal senso lasciato il segno.
Good Times for a Change di Mick De Paola ed Elena Comoglio ha ricostruito la coraggiosa storia del primo sindaco transgender in Italia, Gianmarco Negri, eletto a Tromello, in provincia di Pavia. Un risultato che non sembrava affatto scontato, per non dire folle anche solo da immaginare: “una vittoria contro il pregiudizio, contro le certezze, perché sembrava già tutto scritto”. Il racconto di un gruppo di persone non LGBTQI+ che ha creduto che tutto ciò fosse possibile e ha scelto il cambiamento. Una storia di coraggio, amicizia, sostegno e stupore che ci ha mostrato come cambiare sia possibile.
De Paola e Coniglio sono andati a Tromello per seguire la campagna elettorale di Negri, filmando giorno dopo giorno la sfida alla strafavorita Lega della vigilia. Non a caso quel giorno si votava anche per le Elezioni Europee, con la transfobica Lega che stravinse a Tromello. Ma al chiuso della cabina elettorale centinaia di cittadini votarono il partito di Matteo Salvini alle europee e Gianmarco Negri alle amministrative, dando vita ad un apparente cortocircuito ‘politico’. Una prima volta storica che meritava un racconto documentaristico, per quanto di breve durata (45 minuti), a rimarcare l’evento verificatosi e la forza mediatica di Gianmarco.
Realizzato da Collettiva+, La Faraona è invece il primo documentario interamente dedicato alla figura di Mario Mieli, tra i padri fondatori del movimento LGBTQI+ italiano, sicuramente quello più eccentrico, intellettuale ed irriverente. Un’opera che ha ricostruito con una tinta queer le tappe della vita di Mieli attraverso preziosi materiali di archivio e grazie alle voci degli amici e delle amiche a lui più prossimi, regalando al pubblico un accesso al personaggio e al suo quasi inedito privato.
Filmati d’epoca e interviste hanno impreziosito un progetto indipendente frenato dal budget a disposizione, dal balbettante sonoro, dal migliorabile montaggio e dalla discutibile grafica. Ma è il contenuto, e non la forma, a rendere La Faraona progetto di indiscutibile interesse, perché in grado di farci sentire più che mai la mancanza di Mario Mieli, tra gli attivisti più all’avanguardia della nostra comunità, a 70 anni dalla sua nascita.
“Are you proud?”, infine, è un documentario sull’orgoglio LGBTQI+ firmato dal regista Joiner Ashley, presto distribuito in oltre 100 sale italiane da Magnitudo Film.
“Are you proud?” racconta la storia e la varietà dei Pride in Gran Bretagna, il Paese che più di ogni altro ha vissuto la contraddizione tra la libertà di esprimere la propria sessualità e le leggi omofobe, diventando in breve tempo una delle nazioni che ad oggi ospita il maggior numero di Pride. Il documentario mostra rari filmati d’archivio e interviste di decenni di combattimenti per l’uguaglianza, costruendo uno stimolo di discussione e di sensibilizzazione sul tema degli human rights. Voci e notizie si susseguono per 90 minuti: dalle prese di posizione sui diritti delle persone LGBTQI+ e delle minoranze da parte dell’establishment istituzionale ai filmati di Soho degli anni sessanta, quando in tv si asseriva che uomini che ballavano con altri uomini fossero un sintomo di rivolta: erano gli anni in cui il progresso dal punto di vista legislativo era spesso contrastato dalle azioni della polizia, esplodendo in momenti di tensione, raccontati dalla gente comune e dalle star di quegli anni. Le testimonianze riportano di adescatori in borghese che attraevano persone omosessuali per poterli poi accusare. Le “Beverly Sisters”, erano chiamati i poliziotti di bell’aspetto che adescavano in incognito. Era il 1967 quando fu abrogata la legge perseguitava gli omosessuali, la stessa che quasi 80 anni prima portò alla incarcerazione di Oscar Wilde nel 1895.
Dal Gay Liberation Front si arriva poi negli anni ottanta, quando si contrapponevano da un lato le feste dell’orgoglio LGBTQI+ e dall’altra i public speeches, di attacco, di Margareth Tatcher e alla Clause 28 del Local Government Act, che obbligava le autorità locali a “non promuovere intenzionalmente l’omosessualità” e a non “promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola finanziata dallo stato dell’accettazione dell’omosessualità come pretesa relazione familiare”.
“Il Pride è più di una semplice parata, è più che la presenza in una sola città. È un sentimento. È un pensiero, è uno stato mentale” con queste parole il documentario fa un salto nel tempo, spostando la narrazione ai Pride ai giorni nostri, con la folla di partecipanti che alla domanda “Are you proud?” esclamano “Yes, we are!”.
“I più grandi nemici dei diritti LGBTQI+ sono stati l’invisibilità e il silenzio. Quando si rimane nell’ombra, quando non ci si rivela per quello che siamo, l’ignoranza prevale. La paura prevale. L’omofobia prevale. La prima volta che vidi questo documentario, pensai subito che parlare della storia dei Pride era parlare dell’uscita dall’ombra, della vittoria della luce sugli atteggiamenti e sui pensieri più cupi. Quella domanda ricorrente nel film, “Are you proud?”, rivolta alla folla dal sindaco di Londra, non mi ha lasciato indifferente. Sono convinto che anche un documentario al cinema sia uno strumento per manifestare e trasmettere coraggio, lo stesso che generò Stonewall e ci porta dritto al significato dei Pride di oggi. Questo è un film per la comunità LGBTQI+, ma è un film per chi crede nell’equality, non solo di genere o di orientamento. Spero che faccia notizia, giri tra la gente, arrivi nelle scuole, raggiunga il cuore delle persone”, ha dichiarato Francesco Invernizzi, CEO di Magnitudo Film e distributore del film.
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