Neopronomi. C’è chi li considera vitali e chi invece un’inutile invenzione dei tempi moderni, chi si impegna a impararli e chi invece si rifiuta categoricamente di prendere parte all’innovazione della lingua.
Il dibattito è sempre aperto, ma l’uso e la storia di queste parole – che possono sembrare così strane – sono molto più importanti di quanto non si creda. E, per alcunə, diventano addirittura fondamentali. Capirlo, e tentare di comprenderli, è un altro passo per migliorare l’esperienza di vita di chi sente il bisogno di identificarvisi e autodeterminarsi.
Intanto qualche precisazione. I neopronomi, nonostante il nome, non sono un’invenzione di questi anni. O meglio, lo è il loro uso. La loro presenza è però attestata in alcuni testi e dizionari dei secoli scorsi, alcuni risalenti anche all’Ottocento. Il che, mette a zittire anche tutti coloro il cui contro-argomento principale è l’incorrettezza grammaticale.
I social non hanno inventato niente. Li hanno diffusi, questo sicuramente. Specialmente tra il 2010 e il 2014, quando Tumblr, la più famosa piattaforma di blogging, ha raggiunto il suo apice in diffusione e utenti. Molti di questi erano giovani queer alle prese con la propria identità e, attraverso i loro post, i nuovi pronomi hanno ricevuto un impulso non indifferente.
I neopronomi sono fondamentalmente dei sostituti ai classici lui/lei/loro, e all’uso di loro – tradotto erroneamente in italiano dall’inglese they – come termine generale per tuttə coloro che evadono dai due generi canonici.
Il fulcro di tutta la questione è proprio questo: non per tuttə il genere è qualcosa di semplice. Al contrario di chi si sente semplicemente uomo o donna, e la questione finisce lì, alcune persone si identificano in entrambi, o in nessuno dei due o in una combinazione di ogni sorta. Il termine “non-binario”, infatti, è arrivato col tempo ad essere un termine ombrello – esattamente come “queer” -, che racchiude al suo interno persone genderqueer, agender, neutrois, demiboy/demiboy… la lista è lunga, come molteplici sono le esperienze di ogni singolo individuo. Allo stesso modo, se generalmente le persone non-binarie utilizzano come pronome di riferimento “they”, per altrə lo stesso pronome non è pienamente descrittivo. Entrano qui in gioco i neopronomi, il cui uso è diretto verso coloro in cerca di una parola che li descriva pienamente. Anche in questo caso, la lista è davvero lunga, ma inseriremo qui quelli che al momento sono i più diffusi (nella loro forma di pronome soggetto/oggetto/possessivo):
- ze/zir/zirs
- ze/hir/hirs
- xe/xem/xyrs
- ey/em/eirs
- fae/faer/faers
- e/em/ems
- ve/vir/vis
- ne/nem/nir
- per/per/pers
Ovviamente per l’italiano è necessario qualche aggiustamento, in quanto la nostra lingua non prevede un uso così estensivo di tutte le forme dei pronomi come accade invece in altre lingue, ad esempio l’inglese. L’idea di base è pero la stessa. Questi neopronomi non corrispondono a una precisa identità di genere a compartimenti stagni, sono fluidi e come tali possono essere scelti a piacere da chi li usa, includendo anche combinazioni con quelli già conosciuti. La frase “Lui mi ha detto” potrebbe quindi diventare “Xe mi ha detto” oppure “Ze mi ha detto”. Certamente non è facile riuscire immediatamente a usarli correttamente in un discorso nella quotidianità, eppure è importante provarci.
L’introduzione dei propri neopronomi fa parte di quella transizione sociale che può, di pari passo con altre procedure, contribuire ad alleviare il disagio delle persone trans*, non-binarie e gender non-conforming che, statisticamente, sono le più esposte a eventi di depressione, ansia e tentativi di suicidio dovuti alla loro percezione nella società. È un mondo ancora difficile per la comunità queer, e tanti passi devono ancora essere fatti anche al suo interno. Non serve tanto per partire, basta anche solo abituarsi a chiedere “Quali sono i tuoi pronomi?” o “Quali pronomi preferisci?” per rendere migliore la giornata di qualcuno. Basta poco, ed è uno sforzo a cui tuttə possiamo prendere parte.
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