Zone rurali, di campagna, lontano dalle grandi città. Tutta un’altra vita. Più un tempo, ma ancora oggi, alcune zone vivono portando avanti gli stereotipi più comuni sulla comunità LGBT. Vestiti eleganti, borsetta, effeminati, truccati. Questa è la figura dell’omosessuale stereotipato. E se da un lato questo potrebbe far sorridere, dall’altro genera paura, timore, vergogna. E’ questo a cui vanno incontro coloro che vivono lontano dalle grandi città, dove la mentalità non accetta qualcosa che non sia etero-normativo. Per questo parliamo di omosessualità in provincia.
Una situazione di disagio. Di depressione. Di sconforto. Perché una persona LGBT qui non può essere sé stessa, non può vivere la propria vera sessualità. Ma deve convincersi a fingersi qualcosa che non è. Oggi fortunatamente non basta spostarsi di 50 chilometri dalle maggiori città per ritrovarsi negli Anni ’60, ma quel disagio rimane. E anche la paura.
Il caso dei contadini inglesi spiega l’omosessualità in provincia
A spiegare la situazione di disagio nelle zone di campagna, è Landline, un documentario di Matt Houghton descritto su Rivista Studio. Su Landline si parla di una helpline dedicato alle persone LGBT che vivono nelle zone rurali più isolate del Regno Unito. Si chiama Gay Farmer Helpline. L’idea è venuta a un agricoltore, conscio del fatto che non è facile reprimere il vero io, poiché ha sperimentato questa cosa di persona. Lui ha impiegato 50 anni della sua vita a capire che l’omosessualità non è altro che un orientamento, dove non c’è nulla di sbagliato.
Nel giro di poche settimane, ha ascoltato la storia di 500 agricoltori. E’ stato incredibile scoprire che gran parte di quelle 500 persone avevano tentato di suicidarsi, perché non riuscivano più a sopportare quel disagio. Keith Ineson, il creatore della helpline, si riconosceva nei colleghi agricoltori, e con la sua esperienza passata poteva aiutarli a superare i momenti più drammatici. Nel documentario, sono gli stessi contadini a parlare di quello che provano. Uno vorrebbe urlare il suo disagio, ma non può farlo. Un altro, sfrutta le helpline come valvola di sfogo. Un terzo, invece, non vede una via d’uscita per la sua situazione: le regole imposte fin da bambino devono essere rispettate. Comprese quelle di trovarsi una donna, sposarsi e avere dei figli.
Una doppia identità per chi non è dichiarato
Non serve andare oltremanica per osservare questo fenomeno. Basti pensare a coloro che ancora non sono dichiarati in famiglia e che vanno a studiare in un’altra città, più vicina all’università, o che per lavoro si trasferiscono altrove. E’ questo il caso in cui si formano due personalità diverse: quella libera, che esprime il proprio orientamento sessuale, che ha fatto coming out con gli amici, che ha più libertà e possibilità di incontrare alla luce del sole. E quella invece di casa, nascosta, una maschera che si deve indossare per le feste, quando si torna a casa. Inventa scuse, incontra altre persone LGBT senza dirlo a nessuno.
Un gesto ridicolo, secondo alcuni. Ma necessario, per i diretti interessati. A spiegare il perché, ci sono sempre gli stessi fattori: la paura di doversi dichiarare. A spiegare il fenomeno in chiave comica dell’omosessualità in provincia è il film Make the Yuletide Gay (2009, 89 min). La storia di un ragazzo, Gunn, che deve tornare a casa dei genitori per Natale. Completamente a suo agio con la sua sessualità nella vita di tutti i giorni, deve “cambiare” in vista dell’incontro con i suoi genitori, che lo aspettano nella casa di famiglia. Tra scene comiche e reazioni inaspettate, il film tratta un tema delicato mettendo il sorriso.
Come superare la situazione?
E’ superfluo ricordare che una mentalità omofoba non sempre può cambiare o accettare almeno in parte l’omosessualità. Ma si può sperare che facendo conoscere la comunità LGBT anche nei centri più piccoli, pian piano si arrivi a una sorta di accettazione, o perlomeno di indifferenza. Ne sono un esempio i pride di provincia, ovvero quelli organizzati in città più piccole, che anche se non registrano centinaia di migliaia di partecipanti, ne portano a casa comunque diverse migliaia.
Le parate, altri eventi e campagne di informazione fanno conoscere il tema LGBT, allontanando così gli stereotipi e dandone una visione di normalità. Questo, dovrebbe portare a non stigmatizzare la comunità e infondere sicurezza a coloro che fino a quel momento non concepivano nemmeno la possibilità di vivere davvero, essendo solo sé stessi.
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