Una studentessa universitaria transgender di 21 anni ha citato in giudizio il Dipartimento della Difesa (D0D) degli Stati Uniti d’America e il Segretario alla Difesa Lloyd Austin per aver negato il suo intervento chirurgico di affermazione del genere nell’ambito dell’assicurazione sanitaria militare di suo padre.
La querelante, identificata come Jane Doe nei documenti del tribunale per mantenerne l’anonimato, vive nella contea di Sagadahoc, nel Maine, così come suo padre nonché co-querelante, Sergente in pensione del Corpo dei Marines e dell’Air Force, identificato come John Doe. Papà e figlia hanno trascinato in tribunale il Dipartimento della Difesa in modo tale che possa essere definito incostituzionale il rifiuto di un intervento chirurgico di affermazione del genere per i famigliari dei militari. Papà e figlia cercano inoltre un’ingiunzione che possa definitivamente impedire l’applicazione della norma che nega copertura e danni associati.
“Una vittoria in questo caso assicurerebbe che tutti i famigliari del personale militare transgender abbiano accesso alle cure mediche di cui hanno bisogno, senza discriminazioni o esclusioni“, ha affermato Ben Klein, avvocato di GLBTQ Legal Advocates & Defenders. “Possiamo tranquillamente affermare che questa sia la prima volta che lo statuto viene impugnato. Ha colpito negli anni un numero enorme di persone“, ha detto Klein all’Associated Press.
La norma che nega la copertura si basa su uno statuto federale del 1976, che impone l’esclusione dei trattamenti chirurgici ai famigliari dei militari per la transizione di genere nella copertura medica militare. Il Dipartimento della Difesa fornisce terapie e interventi chirurgici per affermare il genere per il personale militare in servizio attivo dal 2016.
La causa descrive l’attuale politica del Dipartimento della Difesa in merito ai famigliari dei militari come “arbitraria e capricciosa” e priva di “qualsiasi base razionale“. La sezione applicabile “si propone di caratterizzare tali interventi chirurgici come cosmetici, non necessari dal punto di vista medico e simili a un “lifting del viso”, eppure i Convenuti riconoscono che quegli stessi interventi chirurgici siano necessari dal punto di vista medico, autorizzandoli per i membri in servizio attivo”.
Secondo la causa, l’attuale regola è “basata esclusivamente sul mantenimento di stereotipi antiquati e falsi sulla transizione di genere e sulle persone transgender”.
I documenti presentati descrivono nel dettaglio la lunga strada percorsa dalla 21enne con la disforia di genere, dall’età di 11 anni. “Jane ha lottato con gli effetti mentali e fisici della disforia, tra cui ansia acuta, fenesia, battito cardiaco accelerato e isolamento sociale“. Le è stata ufficialmente diagnosticata la disforia di genere a 17 anni, nel 2018.
Jane è stata sottoposta a consulenza psicologica e ha iniziato la terapia ormonale sostitutiva, ritenuti entrambi trattamenti medici necessari coperti dai benefici sanitari militari di suo padre. Ha continuato la transizione sociale e ha cambiato legalmente il suo nome e la designazione di genere sul suo certificato di nascita. Da allora, tuttavia, l’amministratore dell’assicurazione sanitaria dell’esercito ha negato l’autorizzazione o il rimborso per le procedure consigliate dai medici, tra cui l’elettrolisi, gli interventi di femminilizzazione del viso e della voce e la vaginoplastica.
I querelanti padre-figlia vogliono che la norma che esclude categoricamente i trattamenti chirurgici per la disforia di genere nei famigliari dei militari sia dichiarata incostituzionale, e che il tribunale risarcisca i danni e “qualsiasi altro e ulteriore rimedio che questa Corte ritenga giusto e corretto“.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.