Il museo d’arte omosessuale di Berlino, il primo del genere in Europa, festeggia diciassette anni di attività. Nato dal sogno di alcuni coraggiosi volontari, lo Schwules Museum celebra il suo compleanno con una serie di esposizioni da non perdere.
La struttura, che sopravvive grazie all’aiuto di alcuni mecenati, dei visitatori e del lavoro di tanti volontari, si estende su alcune centinaia di metri nel cuore del quartiere turco di Berlino: Kreuzberg, soprannominata la piccola Istanbul.
Il Museo presenta dall’otto dicembre passato la sua prima esposizione permanente: Perlenkette (catena di perle). Inanellati fra loro gli eventi che nella storia hanno segnato le lotte del movimento gay. Si comincia con alcune opere che mostrano l’omosessualità nell’antichità e nel rinascimento. Si passa quindi alle persecuzioni del medioevo sino a quelle nazionalsocialiste durante il terzo Reich.
L’esposizione cerca di trattare in maniera lieve una varietà di tematiche che vanno dal culto del corpo, alla politica, dalla consapevolezza del proprio essere, alla violenza. Alcune delle opere esposte erano già visibili in un’altra grande mostra di qualche anno fa: “Goodbye Berlin. 100 anni del movimento omosessuale”. Altre sono delle vere e proprie chicche provenienti da collezioni private, come il ritratto di Andy Warhol “as a drag”.
Fra i cimeli anche una “marchetta” dell’Eldorado datata 1930. Si tratta di un gettone raffigurante su di una faccia due uomini che danzano e sull’altra due donne. Con questa, nel famosissimo locale della dolce vita berlinese, era possibile ballare con dei travestiti. Il locale, ovviamente, fu una delle prime “vittime” della furia nazista.
Perlenkette: ogni giorno tranne martedi’ dalle 14 alle 18 Sabato fino alle 19 Mehringdamm 61 www.schwulesmuseum.de
Altra esposizione importante è quella dedicata coraggiosamente a un tema pruriginoso: la pornografia gay. La mostra “21×5 porno Machen” lascia interdetti, a volte disturba, ma non vuole stupire quanto invece raccontare il mondo della pornografia. E’ un mondo fatto di acrobazie ginniche che poco hanno a che fare col sesso e col piacere, fatto di vibratori e di altri attrezzi. Su tutto un odore di lattice.
Molti film hanno cercato di raccontare questa realtà da Boogie Nights a Baise-Moi fino a Intimacy e artisti pop come l’americano Jeff Koons spesso e volentieri hanno attinto a piene mani alla pornografia gay. Tutti pero’ sul tema ci hanno marciato. Tutti meno, forse, i curatori di questa mostra.
L’opera che meglio “spiega” questa esposizione è quella di Ingo Taubhorn, uno degli artefici di 21X5. Si tratta di un ragazzino “ben attrezzato”, una faccia d’angelo per un lavoro che di angelico ha ben poco, e sulla foto un frase che suona come un epitaffio: “sono giovane e ho bisogno di soldi”.
Nessuna falsa morale, nessun giudizio, solo una forte sensazione di squallido che accompagna il visitatore anche fuori del museo. Fino al 17/2
“Forse ho la febbre…” è il titolo della terza rassegna in corso allo Schwules Museum. Sono le foto del terrore quotidiano, quando “l’intruso” si insinua nella vita di una coppia fino a distruggerla. Si comincia con quella maledetta febbriciattola che ti consuma prima il corpo e poi l’anima. “Es kann sein, dass ich Fieber habe, wegen mir und wegen dir, einfach aus Liebe…” (Forse ho la febbre. A causa mia e per colpa tua. Per amore) è il titolo della mostra che fa vedere il tragico di ogni giorno di un malato di AIDS: vestiti sporchi, pillole, eczemi e foto ravvicinate di quei lividi che l’infezione lascia sul corpo.
Oggetti di uso comune che assumono un significato diverso. Oggetti di persone colpite dalla malattia e uccise prima che da essa dall’indifferenza e dalla lontananza dei propri simili. Vite gettate in un cassonetto, come quei fiori ritratti fra i rifiuti. Erano un pegno d’amore, ma la persona a cui erano diretti non ha fatto in tempo e goderne. Fino al 17/2
di Peter Blazan
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