“Silvia è un anagramma” di Franco Buffoni: l’omosessualità latente nella letteratura italiana

La scontata eterosessualità di molti poeti e scrittori del passato non sta (più) in piedi. La verità sulle loro vite private può riscrivere la storia della letteratura italiana?

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A volte succede di arrivare in fondo a un libro e di ritrovarsi diversi rispetto a prima. La lettura ha molti poteri, ma quello di aiutare a cambiare prospettiva è forse il più grande, e alcuni libri vengono scritti esattamente con questo scopo. Chi ne sa qualcosa è Franco Buffoni, che con Silvia è un anagramma gratta via parecchie incrostazioni che deformano la storia della letteratura (e dell’omosessualità) nel Bel Paese.

Il libro

Questo saggio – il quale non ha niente da invidiare a un romanzo circa la qualità dell’intrattenimento offerto – è una continua galleria di sorprese e rivelazioni. L’autore dimostra come la storia della letteratura italiana e dei suoi protagonisti non sia quella che le accademie hanno raccontato negli ultimi due secoli. I posteri hanno vagliato le biografie di scrittori e poeti, ma soprattutto le hanno ritoccate per poi cassare tutto quello che si allontanava dagli standard morali socialmente accettati. Non è andata meglio nemmeno alle opere scritte, le quali hanno sopportato pazientemente stuoli di letture moralizzatrici spacciate per rigorose analisi testuali.

Tutto questo per negare, oscurare o non riconoscere una cosa sola: il vero orientamento sessuale di quel poeta, di quel filologo, di quello scrittore. Il fatto che fosse omosessuale.

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Franco Buffoni, Silvia è un anagramma, Marcos y Marcos, Milano, 2020

Il “fattore O”

Leopardi, Pascoli, Montale, Saba, Pavese e molti altri sono i protagonisti a cui Franco Buffoni restituisce voce. La loro vera voce. Quella che arriva direttamente dai loro scritti ma che per troppo tempo si è preferito non ascoltare. La fama che ne circonda i nomi ha infatti avuto ricadute oscurantiste sulle loro vite private, nelle quali mancano pezzi e i conti non sempre tornano. Franco Buffoni le chiama “biografie irrisolte” proprio per segnalare questo dato. Quasi sempre sono biografie non risolte volutamente e che rischiano di restarlo ancora a lungo, visto che la critica italiana, tuttora indietro negli studi di genere, continua a non voler prendere in considerazione quello che l’autore definisce il “fattore O”. Vale a dire la possibilità che diversi fra i nostri orgogli nazionali fossero omosessuali o che, per lo meno, avessero tendenze omofile.

Tale silenzio non riguarda solo quegli autori che sono morti senza lasciare reali evidenze documentali, ma anche quelli che invece ne hanno lasciate di incontrovertibili. Come ad esempio Giacomo Leopardi (la Silvia del titolo è proprio la sua), in riferimento al quale ancora oggi si preferisce tacere il “fattore O” nonostante le numerose prove che lui stesso ha vergato di suo pugno.

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Giustizia biografica

Silvia è un anagramma è un libro nato per essere fuori dal coro e che è orgoglioso di esserlo. Un libro che incrina il racconto posticcio di una letteratura italiana che, nelle sue vesti “ufficiali”, in realtà non è mai esistita. Se ne potrebbe parlare come di una controstoria, e in qualche modo lo è senza alcun dubbio. Forse c’è però una sola definizione calzante: quella di una storia finalmente rispettosa della verità e che comincia proprio dagli uomini in carne e ossa che si nascondevano dietro ai poeti.

Le “rivelazioni” di Franco Buffoni sui suoi colleghi del passato sono tali solo perché finora si è scelto di tenere il pubblico italiano lontano da certi fatti. Fatti per lo più accertati, mentre altri – per ora presentati solo come ipotesi da parte dell’autore – prefigurano interessanti filoni di ricerca per il futuro. Ma pure quando ipotizza Buffoni è ponderato; non è mai alla ricerca del gossip né del sensazionalismo. Ciò che vuole è solo quella giustizia biografica su cui richiama l’attenzione fin dalla copertina. Scrive:

«Qui non si tratta di affermare la genialità di un autore in virtù del suo orientamento sessuale, quanto di comprenderne appieno la vicenda umana e artistica alla luce di una restituzione necessaria. Il fatto che un artista non abbia voluto o potuto manifestare esplicitamente la propria omosessualità non può e non deve inibire lo storico che cerca di recuperare il senso più autentico dell’opera e della poetica dell’artista stesso.
Un grande poeta deve la sua grandezza anche alle esperienze e al vissuto, ergo anche alla sua affettività, al soddisfacimento o alla repressione dei desideri, alla lotta che è stato costretto a ingaggiare con la sua contemporaneità».

Una lotta, quest’ultima, che non viene mai meno. Soprattutto non può venire meno adesso. Perché fare chiarezza non basta, se le informazioni continuano a essere offuscate a monte. Alla fine anche l’insegnamento e la scuola dovranno adeguarsi alla verità per quella che è. Ecco perché una delle battaglie che si preannunciano per il futuro riguarderà la necessaria inclusione di libri come Silvia è un anagramma nelle bibliografie dei manuali scolastici e universitari.

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