“Silvia è un anagramma”, Diego Passoni ci racconta il libro di Franco Buffoni

Diego Passoni ci racconta il libro "Silvia è un'anagramma" in cui Franco Buffoni, pioniere dei gender studies, mette in luce come la nostra identità nazionale e linguistica sia figlia della compressione dell'identità sessuale.

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"Silvia è un anagramma", Diego Passoni ci racconta il libro di Franco Buffoni - silvia e un anagramma - Gay.it

Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò.

Chi di noi non conosce almeno una filastrocca no sense, imparata e ripetuta da bambino , il cui unico gusto era il suono di quella catena di parole, di quelle rime assonanti e forzate?

E se vi dicessi che molta della poesia studiata a scuola, dopo aver letto questo libro, vi suonerà priva di significato esattamente come queste cantilene?

Fatta salva, certamente, la padronanza metrica e linguistica.

Silvia è un anagramma” non svela solo pieghe biografiche dei nostri grandi maestri- ma anche dei padri della patria- ai limiti del gossip. Fa molto di più: ci toglie finalmente dagli occhi l’unico filtro con cui la storia e la letteratura hanno da sempre letto se stesse: quello dell’eterosessualità come unica via.

Entrati nel contesto sociale di coloro che ci hanno lasciato i capisaldi dell’identità italiana, tanto linguistica che di valori, scopriamo che nel regno sabaudo, quanto in quello pontificio, l’oscurantismo in tema sessuale prevedeva pene pesanti, a partire dal carcere, per gli atti omosessuali, e che al contempo, nel regno delle due Sicilie, per dire, dove i comportamenti non ortodossi erano vissuti alla luce del sole, come a Napoli, allora grande capitale,  questo dava molti grattacapi alle autorità.

Direte voi:” si tratta di un pamphlet di militanza gay, che fa le pulci a carteggi privati in cerca dell’omosessuale a tutti i costi.” No. Intanto perché allora non esisteva il concetto di omosessuale. Esistevano solo gli atti sessuali. Etero e omo. I primi approvati, i secondi perseguiti anche ferocemente. E poi perché quello si chiamerebbe “outing”. Pratica orribile, anche quando postuma. Qui si tratta di capire quanto le leggi persecutorie, la violenta condanna sociale abbiano inibito, reso infelici, fatto sentir soli coloro che negli atti “libidinosi contro natura” ci si ritrovavano eccome. E, come per tutti gli omosessuali, non per scelta. Allora improvvisamente diventano plausibili, il concetto di “natura matrigna” e il pessimismo cosmico, quelli di un Leopardi che ci hanno fatto studiare come un deforme depresso, quando molto più probabilmente era forse bruttino, e certamente schiacciato dalle leggi pontificie (per una bestemmia allora non ti sbattevano fuori dal Grande Fratello, ti tagliavano la lingua!) e dal clima sociale.  Così come La sirenetta ha senso solo se si conosce l’omosessualità del suo autore, Andersen, che nel finale originale, epurato dalla Disney, fa morire la protagonista facendola svanire nella schiuma del mare, poiché per un essere come lei, né tutta donna né tutta pesce, non c’era posto in quel mondo puritano, non ha senso escludere queste sfumature da chi, prove storiche alla mano, l’omosessualità la conosceva bene.

Siccome però a un certo punto bisognava scegliere nel mazzo i rappresentanti dei valori e della lingua di questo nuovo Paese, si è deciso di epurare il possibile perché tutto brillasse di orgoglio nazionale. Virile e impavido. E infatti non si studiano donne. Né si contempla l’omosessualità. Forse è ora che le nuove generazioni, fluide per auto definizione, possano studiare su dei testi più alla loro altezza. In cui scoprire del rapporto irrisolto- ai tempi in cui l’Italia era ancora Giovine- tra Mazzini e quel poeta Mameli, sì quello dell’Inno,  tanto femmineo quanto atletico che “non si poteva vederlo e non amarlo”. E che dire di Cavour, di Pascoli, di Montale, di Gadda, di Palazzeschi, Ungaretti e Pavese? Ciò che è stato debitamente occultato o al limite liquidato come occasionale perversione o inspiegabile intorcinamento dell’anima trova finalmente un senso. L’ossatura del nostro paese è fatta di uomini – e donne- che hanno abbracciato valori importanti, e imbracciato fucili per difenderli, se serviva. I padri -e le madri!-della patria, appunto.  Molti di loro erano omosessuali.  E tra loro abbiamo avuto chi con le parole ha saputo raccontare in modo così magistrale la vita e l’amore, -perché questo fa la letteratura, e ancor più la poesia- da diventare padre della lingua. Nonostante le parole per dire fino in fondo chi era, non le abbia mai potute dire. Se tutto questo  lo avessi studiato ai tempi della scuola, la mia adolescenza sarebbe stata meno sola.

 

di Diego Passoni

 

 

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