“Non esistono parole che possano riparare i danni fatti a chiunque sia mai stato considerato malato mentale semplicemente per amare una persona dello stesso sesso”: comincia così la lettera firmata dal Royal College of Psychiatrists, principale organizzazione di psichiatria del Regno Unito.
Il collegio, esistente dal lontano 1841, fa ammenda e si scaglia per la prima volta con un comunicato ufficiale – firmato e scritto dal presidente Wendy Burn – contro le terapie riparative. Nella lettera si ribadisce che le procedure e i metodi frequentemente utilizzati fino alla fine degli anni ’70 sugli omosessuali erano inutili e dannosi. Metodi che includevano l’elettroshock e le droghe volte a stimolare la nausea e il vomito, come raccontato in una recente intervista da Jeremy Gavins (un paziente sottoposto a quell’epoca a ore di elettroshock tutti i giorni per sei mesi).
“Il trauma di tali esperienze non potrà mai essere cancellato. È importante riconoscere che questa era una volta una procedura standard nei servizi di salute mentale e rifletteva la paura e l’odio verso gli omosessuali”.
Oggi la situazione è cambiata e ogni studio su potenziali cure riparative per gli omosessuali è stato confutato. Il 17 maggio del 1990 l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) cancellava l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.
“Il Royal College of Psychiatrists ritiene fortemente che il nostro primo compito come dottori sia non arrecare nessun dolore e consideriamo immorale chiunque cerchi di curare ciò che non è un disturbo. L’omosessualità non è un disturbo e non va trattata”.
La lettera si chiude così: “Purtroppo non possiamo riscrivere la storia ma quello che possiamo fare è chiarire che oggi le nostre porte sono aperte e che i principi di uguaglianza e diversità saranno portati avanti con passione”.
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