L’ARBRE ET LA FORÊT di Olivier Ducastel e Jacques Martineau
In una magione immersa in un bosco echeggia stentorea la musica di Wagner: è l’ultima passione di Frederick, uno scontroso proprietario terriero francese, non condivisa dalla famiglia allargata che vive con lui. Tanto più che dopo non aver partecipato al funerale del figlio è ancora più mal visto dai parenti. Rivelerà un segreto che lo tormenta: durante la Seconda Guerra Mondiale fu internato in un campo di concentramento perché omosessuale.
I dotati registi francesi di ‘La strada di Félix’ lasciano la commedia per un dramma quasi da camera molto dialogato e con azione quasi assente: tentativo degno ma risultato non così digeribile. E le insistite inquadrature delle chiome di alberi con tanto di tronco metaforicamente abbracciato alla Kieslowski sono solo maniera. Legnosetto.
POSTCARD TO DADDY di Michael Stock
Un intenso documentario autobiografico che ricostruisce le forti esperienza di vita del regista segnato dagli abusi del padre ripetuti per anni, dall’uso delle droghe più disparate, dall’aver contratto l’Aids. Dopo aver rincontrato la madre nella casetta immersa nella Foresta Nera, decide di compiere un viaggio rigenerativo con lei in Thailandia.
Senza autocommiserazione né rabbiose volontà vendicative, il valore profondo di quest’operazione sta nel riuscito tentativo di dare una spiegazione alle dinamiche di una famiglia disfunzionale evitando ogni giudizio morale ma facendo trasparire un dolore sincero che implora un umano bisogno di pace interiore. L’incontro riconciliatorio col padre nel finale è davvero da brividi. Straziante.
PRAYERS FOR BOBBY di Russel Mulcahy
Singhiozzi, emergenza di fazzoletti, guance rigate dalle lacrime. Difficile non commuoversi davanti alla strepitosa interpretazione di Sigourney Weaver mamma presbiteriana integralista che inizia un tormentato cammino di ravvedimento dopo il suicidio del giovane figlio di cui non accettava l’omosessualità. Diventerà un’attivista gay e sfilerà al Pride. Un film per la televisione senza fronzoli né eccessi melodrammatici che meriterebbe un posto nel palinsesto in prima serata su Raiuno. Il lancinante monologo della Weaver trasmesso (nella finzione) in tv è un momento altissimo che dimostra l’innegabile caratura di questa attrice sublime. Alla proiezione molto applaudita è seguito l’intervento di alcuni componenti dell’Agedo e di Claudio Cipelletti, autore del significativo doc Due volte genitori.
THE CITY OF YOUR FINAL DESTINATION di James Ivory
Trasposizione cinematografica piuttosto illustrativa – come spesso in Ivory – del romanzo di Peter Cameron ‘Quella sera dorata’ (Adelphi). Un giovane professore vuole scrivere la biografia di uno scrittore ebreo autore di un unico bestseller, ‘La gondola’ e morto in circostanze misteriose. Si recherà nella magione urugayana che è stata la sua ultima residenza dove, tra gli altri, vive anche il fratello col compagno giapponese. Cast succulento e oliato – in testa Hopkins, Gainsbourg e Hiroyuki Sanada – un’ambientazione esotica di un certo fascino ma dialoghi a nastro davvero ridondanti (una sforbiciata di mezz’ora avrebbe giovato). Un sorridente James Ivory, che ci ha concesso un’intervista di prossima pubblicazione, ha ricevuto dalle mani di Liliana Cavani il premio alla carriera Dorian Gray dedicato anche al suo compagno storico Ismail Merchant mancato nel 2005.
TU ELIGES (SCEGLI TU) di Antonia San Juan
Commediola spagnola logorroica e destrutturata, opera prima dell’attrice almodovariana che interpretava il trans Agrado in ‘Tutto su mia madre’. Nella confusa sarabanda di personaggi piuttosto bidimensionali che si parlano continuamente addosso, c’è una ricca signora appassionata di Feng-Shui alla ricerca del figlio (la stessa San Juan), un attore carrierista, una stellina del pop e una coppia di trucidoni che cena in un ristorante alla moda. Ma le storielle aneddotiche non vanno da nessuna parte e si dimenticano subito mentre la confezione è un po’ sciatta (soprattutto fotografia e montaggio).
Preferiamo la San Juan davanti alla macchina da presa e le consigliamo un’équipe tecnica migliore: per il sabato sera, la scelta di una commedia leggera e ironica va più che bene ma è possibile che non ci fosse nulla di meglio da scegliere? Bocciata.
BRODERSKAB di Nicolo Donato
Un asciutto, vibrante e controllato dramma danese su due neonazi che ucciderebbero tutti i gay che incontrano ma si innamorano tra di loro. Però il Terzo Reich non è il terzo sesso, e non perdona. Il materiale era sulfureo e rischioso, ma l’esordiente Nicolo Donato sa padroneggiarlo con encomiabile equilibrio, senza scivolare nelle scene erotiche. E il finale dimostra quanto la violenza vendicativa possa essere cieca indipendentemente dalla sessualità. Ottimi Thure Lindhardt e David Dencik.
Unica obiezione: alla fine lo spettatore è portato a parteggiare per i due amanti che restano però criminali da condannare: questa ambiguità toglie forza al messaggio del film.
HOUSE OF BOYS di Jean-Claude Schlim
Un film diseguale che inizia come una scanzonata commedia camp e si trasforma in un cupo dramma tirato troppo per le lunghe sul virus dell’HIV. E così la curiosa parabola esistenziale del giovane lussemburghese rank che agli inizi degli anni ’80 si trova a esibirsi nel cabaret di Amsterdam ‘House of Boys’ e si innamora di un ballerino presunto etero perde tenuta ed efficacia. Ma i matronali travestimenti di Madame, la tenutaria impersonata da un magnetico Udo Kier, valgono la visione del film. Grande colonna sonora, da Roy Orbison ai Frankie Goes to Hollwyood. Il ‘wildiano’ Stephen Fry compare nella seconda parte nel ruolo di un dottore che cura i malati di Aids. Gradevole a metà.
EL NIÑO PEZ di Lucia Puenzo
Dalla regista di XXY, un intrigante melò-thriller lesbico sulla giovane argentina Lala (Ines Efron) innamorata della sognatrice Guayi, la ragazza delle pulizie di origini paraguayane che lavora a casa sua. Quando Guayi scopre un cadavere e decide di scappare con Lala raggiungendo la casa sul lago dove è nata, emergerà un torbido passati di segreti e abusi. Atmosfere sospese e oniriche per un film liquido e inafferrabile dal fascino esotico che ricorda il cinema straniante di Lucrecia Martel. Potrebbe entrare in zona premio.
MORRER COME UM HOMEM di João Pedro Rodrigues
L’opera più sperimentale dell’originale regista di ‘Il fantasma’ ha un attacco magnifico e spiazzante: un gruppo di soldati è mimetizzato in un bosco, due di loro vengono mandati in avanscoperta. Fanno l’amore con violenza, giungono davanti a una casa dove due eleganti travestiti suonano il piano e cantano. Ma ‘ogni uomo uccide ciò che ama’ così uno dei due diventa carnefice dell’altro. La battaglia simboleggiata è quella quotidiana della trans Tonia che non accetta l’invecchiamento, la competizione sul palco di un fatiscente cabaret con la nera statuaria Jenny, la ribellione del corpo (sangue e silicone fuoriescono da un seno). Libero e incasellabile, cimiteriale come tutti i film di Rodrigues, ha un’anima disperata e transgender che lo rende davvero diverso da tutto ciò che si è visto finora al Togay.
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