“Frocio” e “finocchio”: uno studente su 5 è un bullo omofobo

Presentata oggi la prima ricerca italiana sul fenomeno del bullismo omofobico nelle scuole italiane. 500 mila bulli e 100 mila vittime. Arcigay presenta il vademecum per gli studenti

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"Frocio", "finocchio", "checca" sono, nell’ordine, le offese più comuni uno studente italiano su cinque pronuncia nei confronti di compagni di scuola e coetanei ritenuti omosessuali. E’ solo uno dei dati che emergono dalla ricerca condotta da Arcigay nelle scuole italiane per indagare il fenomeno del bullismo omofobo, la prima di questo genere svolta in Italia.
Se si considera che la popolazione studentesca del nostro paese ammonta a 2,5 milioni di giovani, bisogna dedurne che di questi, circa 500 mila si rendono responsabili di atti di bullismo omofobico contro coetanei e compagni di scuola, mentre le vittime ammontano a circa 100 mila soggetti, la maggior parte dei quali maschi. Un altro dato che emerge, infatti, è che a compiere e a subire atti di bullismo, anche fisicamente violenti, sono soprattutto maschi, mentre le femmine ricevono soprattutto insulti e comunque in misura molto minore rispetto ai compagni maschi.
Arcigay ha condotto due indagini, una quantitativa e una qualitativa per investigare le forme di bullismo omofobico vissute dalle vittime, l’altra quantitativa per scoprire quanto è diffuso il bullismo omofobico nella scuola italiana.

La ricerca qualitativa Alla prima hanno partecipato 133 persone di cui 111 si definiscono omosessuali (gay-lesbiche), 13 bisessuali e 2 eterosessuali, mentre altri hanno scelto definizioni diverse da queste categorie. L’età media delle persone coinvolte in questa prima indagin è di 25,82 anni con un minimo di 14 e un massimo di 50 anni, avendo coinvolto anche gli insegnanti e il personale non docente delle scuole. Nell’83,46% dei casi, gli atti di discriminazione, verbale o fisica, sono parte di una serie di azione protratte nel tempo, mentre nel restante numero di casi si tratta di episodi isolati.
Nel 19% delle circostanze, poi, agli episodi di bullismo omobofo erano presenti anche i professori i quali, a volte, non si schierano con la vittima, ma prendono le parti dell’aggressore.

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Arcigay ha poi chiesto se l’aggressione specifica o la serie di aggressioni potessero avere delle conseguenze per la vita della persona che le ha subite. Dalle risposte emerse le reazioni disagio psicologico sono le più menzionate, a seguire quelle di insuccesso scolastico e per ultime le problematiche di integrazione sociale nel contesto scolastico. Vale la pena menzionare il fatto che per 22 partecipanti tali aggressioni non hanno comportato nessuna conseguenza. La maggior parte dei partecipanti (59%) ha indicato, fra gli interventi volti a contrastare episodi di aggressioni omofobiche, l’importanza dell’educazione alle diversità rivolta non solo a studenti ma anche a insegnanti.

La ricerca quantitativa Per l’indagine quantitativa sono state scelte 20 scuole selezionate casualmente dal sito dell’anagrafe delle scuole statali del Ministero dell’Istruzione. Tra i dirigenti scolastici delle scuole selezionate, dieci (50%) hanno negato la propria collaborazione. Le aree del Sud e del Nord-Est sono quelle in cui si sono registrati i maggiori rifiuti (tre su quattro istituti contattati). "Non è possibile – ha commentato il presidente di Arcigay Paolo Patanè – che il 50% delle scuole contattate da Arcigay per una ricerca scientifica si sia sottratta al proprio dovere istituzionale di collaborare ad un progetto europeo sostenuto da un Ministero per rendere l’ambiente scolastico sereno per ogni diversità. E questo la dice lunga sulla percezione del fenomeno nei singoli Istituti".

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In totale, sono stati coinvolti 863 studenti e 42 insegnanti di scuola superiore. Se fra gli studenti gli epiteti omofobi e le prese in giro erano i più frequenti, fra gli insegnanti troviamo soprattutto dicerie e prese in giro. Gli insegnanti non riportano di essere a conoscenza di episodi di molestie sessuali oppure di aggressioni fisiche, mentre gli studenti raccontano che in alcune circostante agli episodi ha assistito l’intera classe, docente incluso. Mentre quando la vittima è un maschio si arriva spesso all’aggressione fisica, nei confronti delle femmine i comportamenti più frequenti sono epiteti, prese in giro e dicerie. Ben 172 studenti (pari al 19,93%) potrebbe rientrare nei criteri di bullo secondo criteri riconosciuti, avendo commesso almeno una tipologia fra i comportamenti indicati con cadenza settimanale nell’ultimo mese. Un totale di 32 studenti (3,71%), invece, hanno subito atti di bullismo omofobico a scuola con una cadenza almeno settimanale. Essi possono essere considerati vittime, sempre in base a criteri riconosciuti.

Il Vademecum per gli studenti Un altro dato interessante emerso dalla ricerca è che i fenomeni di bullismo omofobo diminuiscono con l’aumentare dell’età (gli episodi si fanno più rari tra i soggetti con età maggiore di 16 anni), e che i casi si fanno più importanti man mano che si scende verso il sud del Paese.
"E’ un fenomeno virulento – ha commentato Paolo Patanè durante la presentazione odierma della ricerca di Arcigay -, che negli ambienti scolastici e nella società non ha ancora trovato i giusti anticorpi per essere finalmente sanato, e che, stando ai dati, li deve trovare in fretta".
"Arcigay, che da anni porta nelle scuole i suoi volontari a discutere con gli studenti – continua il presidentedell’associazione -, presenta oggi un vademecum contro l’omofobia per studentesse e studenti, redatto dai giovani gay e lesbiche dell’associazione, che è quanto di piú nuovo e interessante sull’argomento sia mai stato prodotto in Italia. E questo anche grazie al contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali". Ma il vademecum, sottolinea, sarà utile "solo con un intervento piú deciso e incisivo delle istituzioni". "Siamo quindi a chiedere, dati alla mano – conclude Patanè -, un impegno definitivo alle istituzioni nel contrasto del bullismo omofobico e il sostegno alle vittime (la ricerca ne individua una percentuale allarmante), molte delle quali finiscono per pagare un prezzo altissimo alla violenza subita, rinunciando al proprio percorso di studio".

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