A chi pensate quando vi dico Lindsay Lohan? Io penso alle gemelle di Genitori in Trappola che si scambiano i ruoli per conoscere i genitori che non hanno mai avuto. Penso alla teenager ribelle rockettara che con un biscotto della fortuna finisce nel corpo di Jamie Lee Curtis (Quel pazzo venerdì). A Cady Heron che balla Jingle Bell Rock insieme alle Barbie davanti tutta la scuola.
Questo mercoledì 10 Novembre, Lindsay Lohan ritorna sugli schermi con “Falling for Christmas“, commedia romantica natalizia in piena armonia con il catalogo Netflix, che inaugura il comeback dell’attrice sugli schermi.Per la gen Z questa è solo l’ennesima rom-com con un mese d’anticipo alle feste, con il volto di una 36enne qualunque. Ma per almeno un gay millennial su cinque, Lindsay Lohan non ha rappresentato una parentesi della crescita. Nel bene e nel male.
Lindsay è l’epitome dell’icona made-in-Disney Channel che rompe tutti i tabù di quell’involucro ovattato che l’ha cresciuta: è bambina prodigio, è la Molly Ringwald degli anni 2000, in prima pagina sui tabloid scandalistici e meme del giorno. Non possiamo incapsulare Lindsay Lohan in una sola cosa, perché persona e personaggio vanno di pari passo con le controversie.
Dalle famigerate scorribande in macchina con Britney e Paris Hilton agli arresti per guida in stato di ebbrezza e possesso di cocaina, spedendola in rehab per oltre 250 giorni, tra il 2007 e il 2012. Nel 2010 passa 10 giorni in prigione, dopo che le foto e i video che la ritraggono disperata e implorante davanti al giudice fanno il giro del mondo, tappezzate in ogni post immaginabile.
Ripercussone qualche modo inevitabile? Lindsay Lohan ha sguazzato nel sistema mediatico più asfissiante e claustrofobico in circolazione, coltivando una fama che idolatra e demolisce in uno schiocco di dita, sotto il solito costante occhio giudicante della qualunque. Risparmiandoci lacrime di coccodrillo per una donna, sotto infiniti punti di vista, privilegiata e agiatissima, non ha senso nemmeno ignorarne i lati d’ombra. Lindsay ha rappresentato la ragazza della porta accanto, l’amica rassicurante e irriverente, adorabile e carismatica finché non sfugge a quel ruolo precostruito e ci offre l’amara verità in faccia: depressione, bulimia, abuso di ogni piacere o vizio possibile diventando, consciamente o meno, l’esatto opposto dell’american sweetheart.
Nel 2013 apre il Lohan Beach House Club a Myknos (abbandonato nel giro di un anno) e nel 2014 si trasferisce a Dubai per quello che chiama “un nuovo inizio”, dove libera da paparazzi e giornalisti, la quiete circostante coltiva una calma interiore che mai avrebbe immaginato tra le strade di Los Angeles. Nel 2021 si sposa con il finanziere Bader Shammar inaugurando la parentesi più serena della sua vita adulta. La riappacificazione di Lohan va di pari passo anche con una società che cambia al suo fianco, includendo nuove consapevolezze e prese di coscienza con cui fare i conti volenti o nolenti (nel 2018 Lindsay dichiara che il MeToo fa apparire ‘le donne deboli’ perché ‘cercano attenzioni’ invece di sporgere denuncia subito).
Ma perché le vogliamo ancora bene? Perché nelle parole del New York Times, Lohan è “l’adolescente incasinata preferita d’America, trattata con disprezzo e sessismo”, esempio lampante dello sciacallaggio pubblico, di una visibilità servita alla mercé dell’entertainment a favore di un tweet o una risata in prima serata (vedi l’allucinante intervista di David Letterman nel 2013). Quello di Lindsay è lo stesso trattamento riservato a Britney Spears, Amy Winehouse, Courtney Love, e tutte quelle donne che hanno tradito la propria immagine, violando la promessa di essere buone, accomodanti, e simpatiche, e proprio per questo questo punibili più delle altre. È l’effetto esasperato e fuori controllo degli anni ‘2000, un’epoca sgangherata e imperfetta, tra outfit improbabili, musica pop rock in sottofondo, e morali discutibili. Sbagliata e ancora così confortevole.
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